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già alta, aveva coperto la piazza di un soffice strato, quello freddo e brillante della luce elettrica che vi pioveva sopra i suoi raggi d’argento, quello grigiastro, mistico, evanescente, delle mille guglie marmoree che sparivano nel cielo nero e nebbioso. Lontani (e mi parvero più lontani di quel che non fossero in realtà) fiammeggiavano i portici e la Galleria.

Oh indimenticabile Milano, città generosa e bella, cuore vivido e pulsante d’Italia; chi ti abbia visto giovane, non ti potrà mai scordare!

Nei pochi giorni che mi trattenni feci molte e care conoscenze, fra cui quella di Paolo Colombo e del buono e cortesissimo Enrico Morelli, che fino a pochi mesi or sono diresse la società editrice Dante Alighieri a cui sono successi i simpatici editori di questo libro.

Non dico per compensare, ma per mostrare in certo modo la mia gratitudine al Trevisini il quale per tutto il tempo della mia visita a Milano mi aveva ospitato con generosità principesca, volli fargli un piccolo dono e gli mandai appena tornata a Firenze il manoscritto di un nuovo volume: «Tra una lezione e l’altra». Il fine gentiluomo mi ringraziò caldamente, ma non volendo rimanere al disotto mi mandò in dono una graziosa borsetta di seta, contenente venti marenghi di oro, i quali dovevano servirmi — com’egli scrisse nella sua lettera gentile — a comprare i dolci al mio piccolo Manfredo. Quattrocento franchi di dolci! C’era di che fargli prendere un’indigestione!...

Tornata di Milano da poco, mi separai dal babbo e dalla sorella e presi in affitto un quartierino accanto al loro, seguitando a lavorare tranquillamente. Collabo-