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XXX PREFAZIONE


menti varii e di valore molto diverso, e spesso non bene fusi. Ma questo grande alito musicale li investe in pieno, li piega tutti in una, direzione unica, e li fa vibrare e risuonare armoniosamente, come il vento quando penetra la selva, e rende concordemente canore le foglie dell’olmo e del faggio, del frassino e dell’abete, della quercia e dell’alloro.

Questo è dunque Teocrito. Nato in un periodo d’incertezza, di crisi, di erudizione, d’intellettualità, di frigidità, egli eredita dalla sua terra, dalla sua stirpe, il patrimonio di alcuni antichissimi preziosissimi germi. Trascinato dalle vicende della vita, attraverso il vasto mondo irrequieto, custodisce nel piú profondo dell’anima, gelosamente, questi germi, che si schiudono un po’ dove possono, in varii climi, in varie condizioni, serbando però sempre essenzialmente intatta la loro virtú originaria.

E solo per una parte, minore e caduca, dell’opera sua, egli è il contemporaneo, il discepolo, il collega, di Fileta, di Asclepiade, di Leonida. Nella parte migliore ed eterna, è, non già epigono, bensí il fratello nato tardi, e perciò tanto piú caro e gentile, di Sofrone, d’Epicarmo, d’Ibico, e, per certi riguardi, del medesimo Stesicoro. Chi bada alla sostanza e non all’apparenza riconosce facilmente che nella poesia alessandrina Teocrito è un intruso. Ultimo nato della grande tradizione classica, dal suo ramo italo-siculo, egli ci appare, fra l’aridità alessandrina, come uno di quei fiori della primavera o dell’estate, che quando il sole è ancora caldo, ma i campi sono già pieni di foglie aride e gialle, aprono i loro petali ardenti fra le pallide corolle dei colchici autunnali.

Io non reputo che ai fini della intelligenza artistica giovi eccessivamente frugare con troppa insistenza nei particolari materiali della vita d’un poeta. Ma quando il poeta lascia sponta-