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256 TEOCRITO

lora, il pondo ascoso nel suo grembo divino, e cioè il profetico Dio nascituro, aveva egli stesso presa la parola.

Ma la trattenne la voce del pargolo, e disse: «No, madre,
non partorirmi qui! Non già perché biasimi, od abbia
prevenzïone contro quest’isola; è pingue, è di buona
pastura; ma per lei le Parche riservano un altro
Dio, della somma stirpe dei Re Salvatori».

Al confronto, Teocrito diventa un Alfieri. Per quanto egli seguiti con l’assicurare che anche Berenice non dové subire il comun fato dei mortali, di scendere nell’Acheronte, ma se ne sta nel tempio d’Afrodite, vicina alla Dea, e partecipe degli onori divini. Il che era poi vero, perché, dopo morta, Berenice fu divinizzata.

E viene, infine, l’elogio di Tolomeo Filadelfo. Ed è meritato elogio. Le benemerenze ricordate da Teocrito sono reali; e può essere che il poeta abbia piú tenute in ombra che non esagerate quelle verso i letterati. Il Filadelfo, sacro alle Muse già dalla fanciullezza, affidato alle cure del poeta Fileta e del grammatico Zenodoto, fu la vera provvidenza di tutti i piú o meno soporiferi cartofilaci alessandrini, da Callimaco a Teocrito. Iddio, Signore di misericordia gli avrà perdonato: in fondo egli non poteva proteggere se non quello che c’era. E tutte le testimonianze storiche concordano con questo panegirico di Teocrito nell’esaltare la floridità e la potenza del regno del Filadelfo; ma nessuno vorrà accettare per buono il numero delle città ricordate dal poeta; che sarebbero state, nientemeno, 33333. L’unico merito di questa rispettabile cifra, consiste, probabilmente, nell’essere un multiplo di tre. Occhio, anche in questi casi, alla filosofia.

Ed ecco, grazioso corollario, l’apologia di Arsinoe. Era anch’essa figlia di Tolomeo Iº e di Berenice; e dunque, sorella