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Pagina:Il Baretti - Anno II, n. 14, Torino, 1925.djvu/1

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IL BARETTI


QUINDICINALE EDITORE PIERO GOBETTI Torino VIA XX SETTEMBRE, 60

ABBONAMENTO PER IL 1925 L. 10 Estero L. 15 - Sostenitore L. 100 - Un numero separato L. 0,50 CONTO CORRENTE POSTALE

Anno II — N. 14 — 1-31 Ottobre 1925


SOMMARIO: FRANCO: Il pio Renan — E. GIANTURCO: Lirica inglese odierna — Poeti catalani: J. Maragall — A cura di C. GIARDINI — V. G. GALATI: Cultura calabrese — Scenografia: V. E. PERSICO Appia M. GROMO: Il Teatro del colore — A. CAPPA: La pittrice R. Zatrosa.

LA RIVOLUZIONE LIBERALE

Settimanale

Editore PIERO GOBETTI

Abbonamento annuo L.20 - Estero L. 30

Un numero L. 0,50''

NOVITA':

A. G. CAGNA

ALPINISTA CIABATTONI

Si spedisce franco di porto a chi manda

vaglia di L. 6 all’editore Gobetti - Torino

IL PIO RENAN

Renan è di quei gridi di anima che esplodono in un’apparizione e rovinano il mondo come una guerra. La vita di questi pericoli di anima si divide in due parti: la prima è di maledizione e di geenna, qui si ricercano, si torturano, si esplorano; la seconda è di benedizione e di amore qui, scendono il monte.

Si laureano discepoli quando han lasciata la cattedra di professori spietati. Dal Collegio di San Supplizio passano a collaborare alla nascita della Libertà di pensare che non è proprio o solo un giornale con la quarta pagina.

— Qu'on fasse plus de lumière — è la loro divisa.

Vengono per lo più di fuori.

Rousseau, Chateaubriand, Lamennais, non sono, come non Renan, della Firenze di Francia, che dà la chiarezza e la facilità di Descartes e Voltaire.

Questi esplosivi di mattina, che si son macerati per lunghi anni senza aver chiaro lo scopo, come voluti da una volontà più sicura, sono eterni erranti senza terra. Sono poesia che ha marcita ogni metrica in suo azzurro. Vuol dire che ha fatto ben ginnastica prima! Non possiedono nulla e sono, come dice Renan, di sè — semplici locatarii della terra, e traversano il mondo, senza serio attaccamento al mondo, «Dio ci ha dato l'usufrutto dell'universo» così ripete Renan.

Prima, erano forse professori di greco. Cosi, Zarathustra! Prima, erano una disciplina linguistica o una Teologia di Beranger, studiata in classe. Ora, s’accendono in sommità di lirici rischi, vedono il vero, in un lampo. I versi sono sempre schiavi anche se s'alzano a liberi! Schiavi, come un mezzo. Ciò che è libertà, è poesia, quando è nata! Due ispirazioni, ci sono. L'una è la improvvisa, contro cui si scaglia Verlaine nel finale di Sagesse, la colomba che si aspetta con le braccia in croce sul nulla del cuore. L'altra è la subitanea che suppone prove e cilizii, e mille Saint Nicolas, Saint Supplice, Stanislas, collegi di metrica e di stile. Allora l’ispirato, che è anche predestinato, elude ogni cosa, dissolve ogni fermezza nemica di Vaticani e di ombro, scrive le Origini ed i Popoli, liquefa le tavole della lettura ormai superstiti. Ripristina la lirica, da tutti i teatri, che son Pirandello e sera o politica di figura. Dove Chateaubriand, persa ormai la nascita del cristianesimo, raccomanda la fede per ragioni nulla inerenti all'essenza di lei, come la pompa delle cerimonie e la decenza delle ispirazioni fornite all'arte oratoria e rivendica o belli atti compiuti da singoli, e i turpi destini dei nemici del Cristianesimo, come se ciò argomentasse in favore di una verità e non fosse questa un assorbire continuo l'aggettivo inutile, momentaneo, nella musica deserta anonima della strada rettilinea, tutta un risveglio di radici inassopite, — Renan filtra la sua spia di saggio e dissipa la gran multa della notte. Quando l'opera è compiuta, certo una rovina si esprime, da questo gioco di nevi di profumo. Non solo il dogma è diluito in domani senza pigli, non solo il miracolo è deposto in un razioncinio che ha la virtù dell'incanto, come se le fate della sua Fontana di giovinezza, zampillassero, nelle fantasia di Renan, una gioia di luce; non solo la salvezza e volatilizzata in imprecisa nuance, e inafferrabile tremito di giorno; — ma anche le virtù elementari han persa la loro radice di dovere, e il fenomeno universo non è che uno spettacolo ameno che Dio si concede per divertimento. Il romanticismo di Lamartine e della passionalità di iungla furente della prima metà del secolo aveva lasciato il luogo a una grande curiosità del vero, a una illimitata fiducia nell’Avvenire della Scienza, e nella infallibilità della critica positiva. Il genio che aveva abbracciato lo spazio e tornate poi le braccia vane al petto, si era deciso, con la stessa fede, a prender partito per la ragione, a desiderare il tragico della verità a ogni costo. Non era più il tempo delle tentennate di Voltaire contro il concreto e il sodo del Cattolicesimo e dei miracoli. Voltaire suffit. E’ il pensiero di Renan, che come tutti i lirici, che non fan mai versi, odia il supplizio di Mesenzio e il disconoscimento del limite, che, se lo strapazzi, ne viene il cavallo divoratore di terre, perchè non giunge il centro. Al morto il morto! utilissima la carica sbrigante e plebea di Voltaire contro ogni mistero, pane da gonzi, — ma, se gli prolunghi il momento, ipostatizzi il mezzo morire che è sempre da morire ove arriva. Tutto è poi, niente è sempre e pure l’aggettivo isterico strilla stridulo che non morrà mai! E lo carezza già, il mare del continuo. Voglio vincere la corsa! — s'impenna l'aggettivo fuori via... La macchina resta al palo, e la divina musica della strada fiumana continua il suo desto sognare...

Lo chiama controversista, lo ammette grand'uomo. Nelle due lettere a Strauss ne fa lodi più giuste. Ma, di Voltaire, pariginissimo, come un idea nata e un abbaglio di paradosso, percuziente di sorpresa che passa, brillantissima, non dovette, Rènan, mai essere tanto devoto. Fu, un mezzo: e i mezzi possono anche riconoscersi utili, senza levar loro il cappello! Anche l'ombra ha il suo da fare nell'economia della luce. Non vuol dire che ci si abbia a iscrivere al suo partito. Renan nota che Voltaire lavorò la guerra con la guerra, e fece bene! Ora, si tratta di andar oltre, c’è qualcosa di meglio dà fare. Disfare il fatto, senza opporvisi, inutili! — pel suo meglio, di là. Ciò dice molto anche per intendere il senso particolarissimo e inconfondibile, che ha Renan della Storia, la fantasia di Dio. Per noi, che ascoltiamo l'Enrico IV di Pirandello, e siamo stati avvezzi alle strepitose manovre sulla storia, compiute dalla buon’anima, in termine sincero, di Carducci, la Storia ci pare un lenzuolo funerario, un po' sempre. Gli è che leggiamo la lettera. Invidiamo quasi, il riposo di quelle date e di quei dati di fatto, che non debbono più avvenire, che sono forma perfetta, dunque: morte. E invece ogni storia è sacra, in quanto dietro il dorso del leggibile e del fatto, avviene, eterna, la gran logica equorea, il fluido di risvegli, della linea di Dio. L'eterno Ritorno è la cantonata di Nietzsche. L’ha scontata, pure!

Questo senso della storia, chiaroveggenza responsabilissima, nella quale ogni coscienza deve sentirsi non credersi, centro vivido, anche della più stupida materia morta e lontana, che riposa, per vivere, su tutte le stelle ferite di occhi del firmamento sommerso sotto il santo oceano laico di Dio, e non è dunque materia, ma condizione dell'Invisibile, per esistere, e la precisa distinzione, è l'aristocrazia sincera, di Renan, che chiamo, senza contraddire storicolirico.

I varii Mariano che scrivono le opere cantate, dalla carta liscissima, trovano che Renan indulse tanto alla Ipotesi, che il polso dei fatti e le prove dei risultati sono quasi futili, nella sua Storia di Origini, di Popolo, di Religioni, di cori umani laici e santi. C’è del vero, nell’appunto. Renan fu laboriosissimo, conobbe l'ebraico alla perfezione, tutta la vita dedicò alla conoscenza, alla curiosità esigentissima, e rivolse i suoi fiumi d’anima verso le tende eterne del mare di Israele, il popolo, per noi, antipraticissmo (ha ragione Cecchi e Cardarelli ha ragione), per Weininger, femmino, per Herder, poeta, per lui, Renan, morale di sua essenza. Se avesse un'altra vita, Renan la dedicherebbe alla divinazione del popolo Greco, il re dei miti! Sta di fatto che Renan scelse il più antico... E non fu per questo. Il sangue brettone, sveglissimo nel figlio di Treguier, dove è in vista il Capo Finisterre e la nascita lirica del puro mare, rende, sospetto, Renan contro la rettorica del sentimento, che troppo famigliare giudica alle stirpe latine, e dalle quali, isola con un senso aristocratico del limite e della primizia di quelli che, tra le persecuzioni, han saputo durare, la propria terra, timida, riservata — è lui che dice, — tutta vivente in profondo, comunicativa poco, ma sensibilissima come un trasalito filo di raggio, e una maschilità inespansiva, ma perforatrice, impresibile. Ce n’è abbastanza, quando si aggiunge la simpatia della strada e dell'Instabilità alla cosa, morta sempre, al concreto caduco, che fece desiderare a Renan la poesia degli infiniti e i viaggi senza ritorno, — (fu in Siria, Fenicia, Palestina, Egitto, tutta Europa cercò) — , ce n'è abbastanza per giustificare la preferenza data al popolo della tenda, straniero alla terra, e nato del cielo. Le corpulente percosse sono sempre i Monti di lettere, i Vaticani maestri, Satana, cioè, e intrigo. Ma perchè un'idea duri quaggiù, non basta l'originalità fontana, occorre il sussidio dell'aiuto, e che San Francesco sia compiuto dal Frate Elia briccone, — l'esperienza è di Renan! Egli non ha avuto il suo Frate Elia; — il suo Gesù non ha avuto l'ultimo paragrafo dell’ultimo Vangelo, il Vangelo non lirico; perchè, salvo a farlo apposta, il lirico è sempre sinottico, e non mica il filosofo, come Platone voleva! Per questo, Renan si accorge che la sua azione sul mondo sarà breve, e non avrà che divertito un momento i suoi coetanei. Non si lamenta; sorride. Non saprebbe abdicare al suo sorriso marino e sovrano. Ma chi si ferma a questo, e non legge il sommerso di questo Veniero dell'anima che fuori è tanto gaio e dentro è strazio, dimentica che anche il fiore del mare su cui scherzano i bimbi dello zefiro, — di un'eruzione del suolo, e, dopo il frutto!... Lamaitre si ferma troppo al ritratto di Renan, nel suo taccuino di corsa. Faccia episcopale, succulenta, rabelaisiana, va bene! Ma chi è dentro, è il centro, e non volle Renan, e il tondo papa lo multò d'infamia, scongiurando l'immagine achei ropoiete di respingere la rovina dell'Anticristo, dalla città del dogma, la città tutta una mammella, dove il Vaticano ha ragione! A Roma, nel 1872, Renan scrisse l'ultimo volume delle Origini ( l'Anticristo ) fu ospitato da Cavour. Due origini si riconoscevano. L’origine d'Italia, improvvisamente laica, come il cielo sparato dalla breccia della murata difesa di Porta Pia; l'origine dell’anima dalla morte del dogma tutto un sonno. Dilettantismo, quello di Renan! Intendersi bene su questo! La parola è di Bourget nei suoi saggi. Da prima, Renan fu un filosofo industre, un adoratore della scienza sperimentale, religiosa del vero. Quando lo destituiron nel 1864, si doleva perchè la sua cattedra era non orazione e giaculatoria, era esame scientifico, matematica d'anima; dunque, non aveva scopo di disturbare coscienze, ma di dire il vero. Fin dal Collegio di Issy, i lavori di linguistica lo trattengono, insonne, dalla questione dell'ortodossia, che affronta, dopo. La tecnica preparata è l'esercizio su tema, che non sente, questi sono i suoi scogli. Tutti gli abati Duchesue, brava gente, si meravigliano in coro che un alunno cosi intelligente scriva cosi male! Non capiscono che c’è un coraggio invisibilissimo nel non procedere che da sè, distruggendo i piani, — e conosce assai bene, e ha ben marciti di azzurri tutti i versi delle metriche e i paragrafi delle stampe e gli alfabeti distrutti, chi dice, il raggio e fa il vestito tutta una verità con l'anima, non deponibile fuori... Il centro di Dio esplode in mondo, ma non ritorna, questo, dall'origine, se non per perdersi fuori, in capostorni ed in lussurie di terre, che i cavalli di Giobbe col boccone divorano e non giungono il centro, l'ho scritto. L’uno sta, certo, prima. E' centro. E dissolve ogni fuori. E, se esplode, spara tutte le grammatiche della natura gentile. Va bene, che quelle poi ricompongono l'origine in un organismo concreto. E il prete di Nemi che vuol disfare la lettera, se non provvede in tempo, muore giusto al quint’atto. Il dramma è di Renan.

Franco.


LIRICA INGLESE ODIERNA

Un evo tumultuoso e grande è spirato, come il messaggero di Maratona, esausto per la sua corsa frenetica di annunziatore, sulle soglie del secolo. Come entro le spire della conca marina, noi ne percepiamo ancora, molteplice e remoto, il rombo persistente.

Per la poesia esso fu, quanto altri mai ferace di incomparabili rigogli: come vano appare il lamento dell’antico che si lagnava non rimanessero più jugeri da mietere!

Meteore turbinose solcarono i cieli della lirica, descrivendo parabole fiammee: e disgregatesi al tramonto, si frammentarono e moltiplicarono dissipandosi.

Un cielo, per vero, in preda a travagliose geniture appare l’era victoriana in Inghilterra. Dalle profondità dello spazio si lanciano in vermiglia furia ascendente immensi astri chiomati. L'ultimo, Swinrburne, si spegne all'alba dell’età nuova.

•••

Tra gli arbusti del novo orto delle Eliconidi novecentesche, Rupert Brooke rendeva imagine del più promettente. Splendevano in lui i presagi delle fruttuosità future: sarebbe stato egli senza dubbio l’albero esperio, cui il produrre frutte di oro granito non avrebbe tolto di murmurar tuttavia al più tenue blandimento dell’aria. Possedeva una visione netta, e la facoltà di fermar l'imagine sigillandola: una emotività profonda, per cui la sensazione continuava a vibrargli dentro, pur dopo d’aver ricevuto il crisma espressivo. Ascoltate quale suprema pacatezza tremante:

I MORTI


Codesti umani cuori
furon detersi prodigiosamente
dal duolo, esaltati dal giubilo.
Gli anni li avean politi :
possedevano l’alba,
e l’occaso, e i colori terrestri.
Avean goduto il moto,
ed ascoltate musiche: cògnito il sonno e la (vigilia:

amato; contratto amistà:
provato il sùbito
rinascimento della meraviglia,
la dejezione della solitudine:
toccato corolle, e manevoli
stoffe, e labbra.
Or tutto ciò è finito.
Codeste son acque, che i Vènti
mutevoli còncitano a riso,
che i cieli opulenti
illuminano tutto giorno. Ed ecco,
il Gelo, con un cenno,
ghermisce il flotto
che danza,
arresta ogni sua leggiadria
vagabonda. E non lascia
che un fulgore non franto,
una raccolta radianza,
una largura, una pace che brilla —
al cader della notte.

La guerra ha reciso lo stame della vita al bardo giovine che a se stesso, innanzi tratto, ha cantato l'epicedio: «The Soldier»: una delle poche cose degne di sopravvivere alle improvvisazioni suscitate dal carnaggio spaventoso.

•••

Walter de la Mare riprende la vecchia ballata, la ballata di Perey tutta profusa di leggenda, e vi infonde uno spirito nuovo, oltre misura diverso, per esempio, da quello di Scott o di Burns. Tenta anzi una inversione di parti nel breve quadro di tal forma antica: «The listeners», l’effetto non è postulato traverso una narrazione lugubre, il racconto d'una gualdana, ma con lo sfruttare tutto il tragico di un misterioso silenzio, il cui cerchio allucinante il Viatore soffermato è incapace ad infrangere.

Walter da la Mare eccelle nel monotonalismo, nel trarre ogni conseguenza dall'interesse specialmente voluto d’un solo colore, d’una tonalità unica: per modo da melodiare in àmbito e limiti inflessibilmente prefissi. Un tale processo egli spinge sino alla ossessione:

ARGENTO

Lenta, silenziosa, ora la luna
vaga, imminendo, su la notturna
cimba, e, birciando illumina le frutta
d'argento sovra gli alberi d’argento.
Le casipole bevono la luce
sua d'argento fra gli embrici d'argento:
dorme il mastino, steso come un ciocco
nel caviglio, su stipule d’argento:
dal colombaio albeggiano le piume
delle colombe, cui raccoglie un sonno
dalle piume d'argento: ed il lepratto
che fugge, presso, ha argentee zampe ed occhi
pure d'argento: e dentro le peschiere
scintillano, tra càlami d’argento,
nel gorgo argenteo, scàrdove d’argento.

•••

Aldous Huxley è un puro descrittivo: e nella nuda trascrizione del passaggio, mirabile. « Ove tu sei, sii tutto: per tal modo sarai invincibile», esorta la «Elegia di Marienbad», Huxley purtroppo non obbedisce al consiglio salutevole: un notevole principio:

O pastori, s'accordi il vostro sufolo
a quei lontani gàttici eccelsi:
tragiungon essi, sottilmente aguzzi,
il ceruleo murmure del colle
frusci l'erba rorida nell’oro dei vespri,
sien taciturni i cieli.
Ascoltate ora l'àlbaro che èsplica
le sue umide gemme,
come palpebre : :
tra l’aereo fogliame:
l'àlbaro che stormisce in furtivi susurri,
con le gemine squame
perenni.


egli sciupa senza indugio con inopportune considerazioni, pochissimo personale, circa gli indefiniti desiderii che gli sembra s'esprimano nel balzo verticale dei pioppi e degli arcipressi.

Il suo « Song of poplars » si riscatta tuttavia in fine per una strofe perfetta.

«So, I have tuned my music to the trees,
and there were voices, dim below
their shrillness, voices of the hills, and a golden cry
and then wast silences ».

Noi non possiamo in nostro cuore che augurargli di spogliar al più presto la cosparsa «sensiblerie» che stabilisce tra lui e la poesia dell’ottocento primo, relazioni cosi manifestamente illegittime,

Elio Gianturco.


IL BARETTI


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