Pagina:Il Baretti - Anno III, n. 12, Torino, 1926.djvu/5

Da Wikisource.

IL BARETTI Pag. 119 Gli studi critici Tn questa rubrica, abbiamo l’intenzione di venire di tempo in tompo esaminando, tenendoci all’ombra di alcuni nomi classici o venerandi della nostra letteratura, i risultati e le conclusioni dolla critica pii» recente. I nostri saggi non vogìion essere nò annunzi bibliografici nò tanto meno articoli di terza pagina. Perchè da un lato terrem fisso lo sguardo all’insieme del quadro: o d’altra parto i libri di cui parleremo non saran sempre i più noti no i più facili a leggersi. Lo nostre pagine sarai» forse piuttosto i segni d’un ardito esperimento: si tratta invero d’avvicinare ad un pubblico, sia pur ristretto, una materia ch’ò rimasta sino ad oggi, per generai difetto di coltura, lontana ignota cd ostica ai più. Abbiamo avuto di recente (qualcuno forso non se n’ò ancora dimenticato) una polemica sulla critica, condotta con tanta disperata allegria, con tale assenza di metodo o povertà di risultati, che gli spettatori più intelligonti ebbero a divertirsi. Vi parteciparono alcuni dei nostri giornalisti più buontemponi, ignoranti e sfaccendati: ma anche lo persone più preparate o più colto (citìam, per cs. in campi diversi, Attilio Momigliano ed Emilio Cecchi) fin iron col trovarsi a disagio in quella diabolica fiera, e lo loro parole si dispersero al vento. Era saltato sù infatti un tale ad inveir contro i nostri critici, perchè, sompro pronti a correr dietro od ogni novità nosvrana, o peggio straniera,- rifiutava!» poi di valutare e misurare nc* loro scritti le lineo o lo opero insigni della nostra classica letteratura. Era naturale cho ad assumersi il compito di bandire imprese di questa grandezza fosse proprio uno di quei buoni ragazzi che, i classici, non san neppure quasi mai dove stiano di casa, e se per caso nc incontran qualcuno ceco»» fuor» subito il» entusiasmi spropositati o sommar», e son sempre pronti infine a confonder la loro particolare o giovanile ignoranza (non priva magari d’ingegno e di gusto) con una ignoranza che essi immaginano sia generale e diffusa. Como talo, egli si rivolgeva a quei soli critici che conoscesse (vogliam dir quelli che imbratta»» di chiacchiere più o meno letterarie le pagine do» nostri giornali} o proponeva loro di far, nientemeno, una nuova storia della poesia italiana. Impresa stupenda e affidata, non c’è che dire, in buone mani! Non c nostra intenzione assumer la difesa d’ufficio della critica italiana, c neppure in sedo più ristretta, di quella accademica ed universitaria. Abbiamo già espresso il nostro parere in proposito. Soltanto, lasciando stare le inutili discussioni per venire su un più solido terreno, intendiamo studiaro e giudicare, nei saggi che verrem pubblicando, quel tanto o quel poco che ignorandolo naturalmente i più, han pur fatto i nostri critici in questi ultimi anni. Machiavelli Ecco qui due libri italiani, usciti entrambi nel corrente a»ino, dai quali la figura del Segretario fiorentino dovrebbe venir fuori delineata 0 circoscritta secondo i nuovi metodi e le più recenti indagini storiche, giuridiche e filosofiche. Di essi, uno è dedicato senz’altro a tutta La ’polìtica di Machiavelli e vi sono raccolti gli scritti d’uno studioso già noto ed esperto, come Francesco Ercole (scritti pubblicati la prima volta negli Studi tconom. pitiridici della Universiti) di Cagliari degl» anni 1016 e ’17 o nella rivista. Polìtica del ’20 e del ’21); l’altro ò opera d’un giovine, Federico Chabod, c tratta più limitatamente e specificamente Del * Principe s di Niccolò Machiavelli. In verità, corno vedremo, l’indolo e la mente dèi grande scrittore nostro balzan più vive schiette ed intere dall’opera più limitata e speciale che non da quella che vorrebbo esser più comprensiva e generale. Poiché, è bene no|arlo9ubito, fra l’tina e l’altra pubblicazione,-sussisti; una differenza, anai opposizione, di ideo e di metodo, cho i critici non hanno di solito giustamente apprezzata (limitandosi anzi por lo più a compartire in modo uguale le lodi), e che c opportuno, a parer mio, sia mossa alfine nel suo giusto rilievo. p m • L’Èrcole muove do»ina preparazione non letteraria, o neppure in largo senso umana o storica, bensì specificamente giuridica e filosofica. Ma le categorie etiche, viste con mento di giurista, gli si trasfigurano in concetti generali, 1 quali noi» derivano il loro significato o la loro profondità dal tempo in cui sorgono e dal tono di chi le enuncia, ma valgo»» per sé stessi, isolati ed astratti, quasi nero formule nate e cresciute fuor d’ogni limite temporale o spaziale: Cosi che, so al critico verrà in. monte di «risalire, attraverso la esposizione frammentaria e analitica, che il Machiavelli ha dato al proprio pensiero, alla sintesi di questo pensiero, e di ricostruire, nello sue lineo generali, il concetto e la teoria universale dello Stato, quale dovè pur splendere alla profondi» mente di Lui»: nessun ostacolo va»rà ad arrestarlo nè gli impedirà di metter.insieme pezzo per pezzo un sistema compiuto e dettagliato Non gli importeranno le dato e le occasioni differenti delle vario opero, dai Discorsi alle Storie: tutto a»»zi gli appariranno materia indifferente cd ugualo, miniera informo di citazioni, quasi sparsi frammenti d’una ideal dottrina da ricomporre. Riconoscerà l’incertezza, talora magari contraddi toriu, della terminologia: ma alla sua perizia giuridica parrà questo lieve intoppo. Si formerà a considerare por un istante il carattere analitico e frammentario dell’esposizione, ma non dispererà di raggiungere, oltre i frammenti, la sintesi. Ne vien fuori»u»a compiuta trattazione di filosofia politica, con i suoi prolegomeni morali, la sua teoria generale sullo stato, o quelle particolari sua classificazione dei governi, sui mezzi di crearli, rinnovarli e mantenerli, sulla difesa esterna od interna degli ordini. Sotto quest’aspetto, il libro delI E. ò chiaro, minuzioso ed attento, pieno d’osservazioni acute o profondo, di quelle distinzioni teoriche o sottili, che a) volgo sfuggono, mo son l’orgoglio appunto dei giuristi: ««monche vien fatto talora al lettore di dimenticarsi che tutto questo costruzioni, un po’ freddo o incorporee nella loro bella armonia, sono attribuito proprio alla monte fervida, appassionata e, diciamo pure, immaginosa di Niccolò Machiavelli. Ecco, anzitutto, un preludio sulla filosofia morale del gran Segretario. L’E, riesce a trovar nel cap. 25 del a Principe», dove si parla della fortuna e della virtù o del modo ond’esse si dividono il campo dell’umana realtà, un’origitialo e profonda soluzione del problema del liboro arbitrio, la quale prea un micia senza più 10 dottrine crociane sull’argomento. Cosi di recente un altro studioso ha voluto vedere in quelle pagine machiavelliche la ricerca d’un prìncipi uni universalituti» della storia. In realtà’esse si riconnettono all’incertezza teorica che il Fiorentino ebbe qui in comune con gli nitri uomini del suo tempo. Ma ncll’immagino dei «fiumi ruinosi», che quell’incortezza teorica copro senza nasconderla, anzi additandola al lettore cauto, l’E. non esita a scoprire una rappresentazione del concetto crociano della storia, dove se la volizione coincide con Iasione, non può coincidere con laccadimcnto, cho dal fondersi od incontrarsi di tutte le elioni indivicinali risulta. Così il concetto machiavellico della virtù paro alI’E. identificarsi con quella che il Croco chiama forma economica dello spirito.’ La quale, r.ncho nel Machiavelli, non esclude una supcriore forma morale, cho però non è, come nel Croce, volontà del bene tiniversale, bensì ani. tanto di quello d’una Patri» determinata. «L’etica del AI. non è che in parto formale: anzi, a ben guardare, non è affatto formale, perchè presuppone ed afferma un limito materiale alla moralità... ha Patria..., è ri presupposto cd di limito della moralità machiavellica: sia nei senso cho, in essa c per essa, tutta la moralità machiavellica si compendia ed esaurisce; sia nel senso che, all’infuori dà essa, non v’ha pel AI. moralità possibile». In questa determinazione dei limiti materiali dell’etica studiata si rivela meglio l’acutezza ingegnosa e la chara mente dell’E. Ala la precedente sistemazione è troppo sforzata, troppo vuol ridurre le parole o le idee incerte e vaghe d’uno scrittore cinquecentesco entro gli schèmi offerti da una filosofia modernissima, unchc se già classica, perchè possa riuscire persuasiva. A minori urti si espongono invece le pagine che seguono nello studio dell’E., sullo stato e la difesa dello Stato secondo M. E., nel complesso, l’interpretazione della teoria machiavellica dello stato, come d’un organismo vivente o corpo misto, per 11 quale la distinzione aristotelica di materia e forma assumo l’aspetto del rapporto vivo tra il popolo e gli ordini giuridici cho l’informano, e fanno d’una massa confusa d’individui un vivere civile, può esser benissimo accettata. Ma anche qui, nei particolari, accanto ad analisi fini e profonde, appare troppo frequente l’intcgrnziono sistematica, apporto personale dcll’E. che trascende le note sparse •• slegate del Fiorentino, c talora vi si sovrappone. Perchè anche qui il critic* non bada alle condizioni storiche, dallo quali lo dottrine prendono origine e forma, e derivan talora lo scopo, e continua a perseguire con accanito rigore un suo idealo sistema. Non vogliam già dire che manchi al M. mi nucleo d’idee generali e sufficientemente chiare, bensì soltanto clic queste non sono molte nò egli le volle mai legate in un insieme logico. Cosicché, conio diceva il Villari, «l’unità della sua scienza bisogna cercarla piuttosto nel suo modo di pensare», cioè fermarsi a una descrizione noi. soverchiamente astratta, uè tanto meno particolareggiata, e noppnr paurosa di contraddizioni, della sua fisionomia rii pensatore: oppure esaminare, se si vuole, i dettagli, ma lasciandoli nella lor libertà, senza costringerli entro schemi che I. comprimono e li doforinano E soprntutto, bisogna aver l’occhio alla storia. Non solo a quella particolar storia del ponsioro filosofico-giuridico, cho l’E. profondamente conosce, o nella quale egli inquadra, talora mirabilmente, le teorio del Al.: porche a questa particolare storia il Fiorentino sfuggo troppo spesso, rifugiandosi in quolla più larga e comprensiva del mondo politico, letterario o morale cui egli appartenne. So di cotesti limiti storici l’E. avesse tenuto maggior conto, egli avrebbe evitato forse corti erro»*i di valutazione: come là dov’egli scorge, a quel modo cho già altri, nello teorie militari del M. il presentimento della moderna coscrizione obbligatoria, mentre in realtà, conio ben dimostra lo Chabod, «il popolo armato del Fiorentino non è altro se non la risurrezione, momentanea cd inutile, delle vecchie milizie comunali», o ancho là dov’egli immagina che il M. abbia pensato a’ia totale unificazione d’Italia in un regno, mentre nel «Principe» si propone solo l’ideale d’uno Stato capace di teucro a freno sotto la sua egemonia i minori potenti italiani e di difender tutta la penisola daU’assalto dei barbari. Cosi divulso da quelle condizioni storicho che hanno offerto tanta materia alla sua solenno meditazione, e, dici am pure determinato tanta parto delle suo idee, il M. esce, da questo studio, rimpicciolito o talora falsato. E’ difficile riconoscere, ancor più che nella terminologia rommodeinata, neH’organismo metodico dello trattazione, l’animo o la passione di quol M. che, in altri tempi, abbiam letto ed amato. Rimangono, a determinar l’importanza di questo saggio dcll’E., i felici riaccostamenti del pensiero del suo autore a quello della tradizione giuspubblicistica classica, medievale c del Rinascimento; e certe indagini di terminologia giuridica, ovo ha campo di dimostrarsi la sua particolare sapienza in questo materia, come là dove egli esamina i diversi significati assunti nel linguaggio del M. dalle parole stato, ordini, ccc. Ancho le pagine sulla religione son tra le più belle del saggio • * • In un ambiente assai più largo e denso di cose o di uomini ci trasportano le osservazioni dello Chabod, se pur esso appaiati dapprima rivolte non più cho a determinare la genesi, il significato c il valore storico d’una sola fra le opere del M.. Invero la preparazione di questo giovane, so anch’essa non ha paura nè di formule nè di sistemi, non è più però strettamento filosofica o giuridica, ’bensì essenzialmente storica, nel senso più comune c più largo di questa parola. E il saggio che qui si commenta è frutto di lunghi anni di lavoro, durante i quali non solo l’età che fu del M., ma ancho quelle cho la prepararono e offriron comunque materia di politiche esperienze alla monte del Fiorentino, son state studiate o valutate con diligente cd amorosa attenzione. Gli studi storici han dato allo Ch. il senso degli svolgimenti o delle distanze; inoltre gli hanno insegnato il valore degli individui c i molivi umani delle loro azioni anche teoriche, al di là delle dottrine astrette. Cosicché, se all’Èrcole tutte le filosofie appaion come poste sopra un piano unico ed irreale, lo Ch. sa opportunamente distaccare c collocare nel loro tempo teorie che, a chi le osservi nella lor mera formulazione verbale, possono apparire, se non proprio identiche, simili. Poi, ciò che è più importante ancora, l’anima individuale del M., così lontana, come abbiam detto, da! saggio dell’Ercole, qui ricompare t utta e dal confronto delle vicende storiche c degli uomini che le stanno intorno acquista maggior rilievo. Per lo Ch. il pensiero del AI. non ri svolgo su di una linea sola armonicamente: chò anzi esso è «legato alla vita di lui, tanto ricca di motivi, varia, permeata dagli eventi del giorno, a tal segno che ri avvertono nello opere i successivi trapassi sentimentali dello scrittore, il cui animo non ò sempre identico ovunque». Poche, ma potenti ed originali, son le idee che rimangono saldo ai fondamenti di questo.pensiero. E anzitutto il riconoscimento dell’autonomia della politica. Ma questa unità, per così dir fondamontalo, del pensiero machiavellico non escludo lo differenze particolariche non son poi svolgimenti delle sue teorie determinati da necessità intrinseche a quelle, come accado negli spiriti filosofici e dogmatici, bensì, com’ò proprio (|j „omo che alla vita circostante s’appassioni di continuo, di pen don per lo più dal mutare degli eventi esteriori E’ necessario che queste differenze non siano dimenticate. Così, se contro l’antinomia Principe.Discorsi, mala’mente interpretata ad esagerata per il passato, v’è oggi nella critica più recente la tendenza «a veder ne’lr due opere il comune fondo, la virtù che si ordina variamento in rapporto alla materia del soggetto», è pur giusto osservato elio cotesta identificazione di vien spesso troppo rigida e schematica. «Sia pur la virtù individuale a base anello della repubblica...; non resta meno che. nell’un caso, la forza della vita collettiva, la virtù dello membra, la involge in sò, mentre, nell’altro, si mantiene con assoluta rigidezza il carattere individuale. E siccome il AI. non ora un astratto teorico..., ma un politico e un»»omo di passione elio!s idee veniva a mano a mano sviluppando o determinando in strettissima connessione con lo attività, le speranze, lo scopo pratico dei divelli momenti, cosi rimano da vedere quale differente contenuto debba neccsariamento ritrovarsi in un criterio apparentemente identico.... Or un diverrò orientamento della vita intima, e quindi del pensiero del M., nelle sue opore, non si p»iò negare». Donde la necessità di studiare le opere nella loro genesi umana, e qui il» particolare il «Principe». Nei primi mesi del 1513 M: si ritira in villa, a S. Casoiano. Lo disgrazio recenti, le miserie della vita quotidiana fra’ rustici donde si risolleva più alto e teso il suo orgoglio d’umanista, c sopratutto la disperazione della storia d’Italia, lo distaccati dal presento e Io conducono a ritrovare, sullo orme di Livio, in Roma antica, il suo ideale dello stato forte libero e sano. Sorgono i primi appunti delle Deche, «superbo elogio della vita politica, quale sorge in una società non corrotta, c cioè fiorente d’energio collettive, il cui libero manifestarsi trascina seco Pevoluziono e il progresso degli ordinamenti statali». Quasi d’-improvviso il M.abbandona lo Deche: «un’altra immagine si fa innanzi a ricever decisi lineamenti dalla meditazione solitaria», composto di getto, pressoché compiuto quale oggi appare, vien fuori,’ tra il luglio del 1513 o il febbraio del 14, il trattato del Princijtc. «Questo trapassar dall’uno all’altro ragionamento non fu oontradizione, ma bone il definitivo risultato di un travaglio spirituale lento e continuo, di cui si avverton già lo prime espressioni negli stessi abbozzi dei Discorsi». Non»x>leva infatti il M. tenersi troppo a lungo lontano da quella realtà presùnte, ch’era la sua disperazione certo, ma anche il suo amore. E questa è la ragion prima e g<ncrale del./Vinci p«r: cui possono aggiungersi i motivi pratici ed occasionali messi in luce dal Villari e da altri. Quanto alla figura del Principe, la storia italiana appunto l’offriva all’immaginosa meditazione del Al. Le pagine, nello quali lo Ch. descrivo i caratteri e le forme di questo periodo storico, son certamente tra lo più belle del suo libi». L’annientamento della coscienza popolare, attraverso la stanchezza delle lotte comunali, vi è rappi-cscntato con animo vorremmo dire affettuoso. Su questo popolo che, rinunciando ad ogni attività politica, ri contenta ora di chiedere sicurezza dei boni e delle persone nel contado e lungo le vie, sorge e cresoe il dominio veramente personale del signore, unico o fragile centro d’unità degli stati regionali. «So le signorie avevan avuto il loro trionfo proprio al declinare della virtù politica nella società comunale, la loro opera veniva a determinarne con impressionante continuità un ulterioro <j definitivo annientamento». Si preparano le miserie morali della prossima storia italiana. «Una grande coscienza politica si era spenta: rimanevano i gruppi sociali l’uno ostile all’altro, profondamente abissi dal tradizionale spregio dei borghesi verso la plebe, dall’odio di questa verso i ricchi, dalla beffarda asprezza, infine, dei cittadini di qualunque condizione verso i rozzi villici». Accanto alla massa stanca, disanimata o lontana, cran vive sole le grandi figure statuario dei signori gli individui. Tra loro si svolgeva, abilissima, sottile, avventurosa, ma profondamente inutile, lo partita dei diplomatici. Lo Ch. motto in rilievo il contrasto ch’ò tra questa storia e quella che vede nello stesso tempo sorgere fuori d’Italia i grandi stati nazeonali. Là, dietro i re, muniti d’un carattere sacro e tradizionale, ché manca ai nostri signori. stanno le larghe e vive forze borghesi e popolati: la virtù delle membra involge, limita o conduco per vie sicure quella degli individui. Ara in Italia i tentativi di Gian Galeazzo e di Ladislao per creare un vasto stato unitario, poggiai. solo sull’abilità e sulla ’potenza indiviluali, falliscono. Ad essi ritorna appunto, con la sua speranza animata dalla passione, il M. uscendo oltre i confini della politica d’eq’uulibrio ch° si svolge intorno a lui. E il suo Principe sarà appunto iI «principe nuovo, c»»i non la memoria dogli avi. non il ricordo d’una lunga passione comune con il proprio popolo sorreggono, ma soltanto la personale scaltrezza o la forza del volore, I abilità guerriera o la sapienza diplomatica». Così la storia italiana, questo mondo vuoto di profondi motivi morali e politici, sul quale emergono scarse volontà individuali, si riflette nel libro più rigorosamente logico del AL, creato però anch’csso sulle basi di una fedo c d’una passione. Il popolo vi è del tutto assento, povera o mancante di fierezza vi apparo la nobiltà. Lo state coincide con il Principe. «Il M. ritorna ni pensiero dei grandi combattenti del Trecento, lo integra con la sua esperienza o con la sua immaginazione, afferma nuovamente la necessità della lotta aperta, e qinndi dello stato forte, quale, nella realtà, ha