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Croce allo specchio il I) titolo può sembrare ma non essere irriverente, poiché è risaputo che ogni aspetto frivolo della vita non interessa il filosofo abruzzese, esteta e antiretorico per natura.

Pure, una mattina, nel mite silenzio della sua casa, si levò con una ruga su la fronte piana ed ampia, e gli occhi mobilissimi, che contrastano con Patteggiamento semplice e buono di tutta la persona, andavano inquieti in cerca di qualche cosa: lo specchioE come in quella pace i ricordi prendevano forma, la fronte del filosofo diventava serena e sorridente, dissolvendo a poco a poco il velo d’ombra che Poffuscava, e rimirandosi nello specchio terso dello spirito: il poeta in potenza si ritrovava spontaneamente nel critico in atto. E sempre così deve accedergli, non già soltanto in questo Contributo alla critica di me slesso (Bari, Laterza, 1926); giacché tutta l’opera sua più penosa di ricerca, nasconde un fondo emotivo, che, se non si é concretato in poesia, non si è mai irrigidito in sterile analisi. «Io osservo di continuo in me — scrive nella Critica (1926, fase. II, pag.

115) — come le commozioni, che mi prendono l’animo e che, se io fossi poeta, si convertirebbero e svilupperebbero in lirica, trapassano presto nel mio spirito in materia di riflessione, d’indagine e di analisi; cioè, si fanno pagine di prosa». Non poteva dunque accedergli diversamente neppure quella mattina di primavera del 1915 in cui si pose a scrivere queste pagine, le quali vennero pubblicate, nel 1918, soltanto in conto esemplari numerati, introvabili fra noi, nonostante le traduzioni inglese, tedesca e francese; chè il Croce non aveva voluto saperne d’una edizione italiana da mettere in commercio, sicché si doveva ricorrere alle edizioni straniere se, conosciuto l’edificio crociano, prendeva vaghezza di sapere ciò che di esso ne pensava l’autore. Il quale ha dovuto persuadere sé stesso prima di decidersi a dar forma al mònito di Goethe: «Perchè ciò che lo storico ha fatto agli altri, non dovrebbe fare a sé stesso?». Ma, appunto perchè critico, non ha fatto confessioni, chè, stimando utile confessarsi in ogni istante, altrettanto inutile gli è parso «esercitare un giudizio universale sulla propria vita»; nè ha scritto ricordi, perchè non è poeta, e neppure memorie, le quali, essendo cronache della vita vissuta, per esser le sue quasi tutte racchiuse nella cronologia dei suoi libri, non presentavano nulla di ricordevole. Queste, almeno, le giustificazioni che il Croce adduce per aver preferito di abbozzare la critica di sè stesso, anziché rievocare liricamente lo svolgimento della propria vita. Ma è poi sempre riuscito a camminare sul tagliente filo di rasoio della critica pura, senza dar mai nel trabocchetto dei ricordi o memorie?

Se si guarda all’insieme, questo contributo è essenzialmente critico; se si amano le notazioni particolari, non manca del pathos delle confessioni; se poi, com’è più conveniente, si considera nella sua totalità, rientra perfettamente nel grande circolo degli scritti crociani, che sono espressione integrale della umanità, se così posso dire, dello scrittore.

Senza dubbio, la impostazione filosofica, che caratterizza tutta l’opera del Croce, e specialmente la Filosofia dello spirito, dove ha mantenuto, almeno nei primi volumi, il rigore classico del trattalo, non gli ha impedito di trasfonderle la calda vita della sua anima, che, se non prorompe impetuosamente, per il predomio del rigore logico, si esprime sempre con tutto lo slancio di cui è capace un’intenditore geniale del bello. Ma, nella grande mole della produzione crociana, anche lo studioso, che, sotto Pimpostazione dei problemi più astrusi della filosofia, sa vedere e comprendere l’animazione appassionata, che lo scrittore sa darle, è indotto a preferire alcuni scritti fra gli altri, quelli, cioè, che lo accostano meglio all’uomo Croce, e glie lo rivelano nella sua verace passionalità. Giacché mi sembra tempo di rilevare che l’immagine dura, quasi inaccessibile, che si è fatta comune del filosofo abruzzese, è quant’altra mai falsa e irreale. T,a natura stessa degli studi crociani, e l’ambiente in cui sono cresciuti e si sono imposti, hanno certo contribuito a far pensare — di lontano — a un Croce che non esiste; ma, anche ai più restii ad accostarsi agli studi filosofici, basta fermarsi sa le «postille» della Critica, su gl’intermezzi polemici raccolti in Cultura e vita morale, su le Pagine sparse, che formano alcuni volumi curati dal Castellano, e su i frammenti o le note in genere (Moritenerodomo, Pcscasscroli, Un angolo di Napoli, ecc.), per convincersi che il critico, vigile sempre nella difesa delle sue teorie, è un uomo di passione, che, nello sviluppo di quelle stesse teorie, ha trovato lo sbocco alla sua vigorosa umanità. Sentite allora che il filosofo non ha rinunziato a vedersi nella limitatezza dell’uomo comune, e che, infine, tutta la sua opera non è che lina celebrazione incessante e crescente della validità dello spirito umano nella sua assolutezza: scoprite, insomma, costantemente il poeta che si nasconde nel bozzolo del critico. A mano a mano che, dal primo annunziarsi — nel 1894 — «Iella sua teoria estetica in quel «libricciuolo polemico sul metodo della Critica letteraria e sulle condizioni di essa in Italia», è salito alla più recente conquista della identità di storia e filosofia, clic rappresenta il massimo sforzo del suo spirito nel raggiungere l’estreme conseguenze delle sue premesse, egli ha sentito farsi più umile la sua persona, non solo per queirinnato bisogno di starsene in solitudine, ma come contemplando non l’opera propria, bensì l’opera stessa (lell’tiomo, che tutti gli uomini posson fan migliore, perchè lo spirito umano non ha confini. «Il filosofo — così nella Filosofia della pratica (p. 7) — , che si ripiega su sè stesso, non cerca il sè stesso empirico: nè Fiatone filosofo cercava il figliuolo di Aristone e di Pcrictione, nè Baruch Spinoza, il povero giudeo malaticcio; essi cercavano quel Piatone e quello Spinoza, che non è più Platone e Spinoza, sì bene l’uomo, lo spirito, l’essere in universale». E non ha egli forse insegnato — non certo in senso meno che alto — che in ogni uomo vi è un filosofo, dove appunto s’insegnava che il filosofo è un essere- sui generis, e clic, parimenti, in ogni uomo vi è mi eroe, dove Carlyle ed Emerson e i loro seguaci costruirono una teoria degli «uomini rappresentativi»? E cos’è mai questa reintegrazione e univcrsalizzazionc dell’eroismo se non l’umiliarsi dell’uomo, che riconosce in tutta quanta la specie umana la potenza assegnata ai privilegiati? Il rivnlori zza tore della filosofia» mondana», si è compiaciuto di vedersi con la blusa della folla sul solco scavato dai suoi simili, per contribuire all’opera comune. Dove s:. esprimeva una potente personalità, egli ha sostituito spontaneamente e semplicemente una persona, quasi un uomo comune; e così s’è visto, senza guizzi di tragedia e spasimi mistici, in questo Contributo, in cui, vincendo In critica stessa, non ha potuto frenare la voce del sentimento, che come palpito di piccola fonte, ripalpita nella inevitabile contemplazione della vita passata: sia clic rievochi pacatamente la sua infamia, o che ci parli di questa Napoli di piccoli bibliotecari, dove ha vissuto e vive, e, insomma, quasi in tutto il rapido sfondo che gli serve a disegnare il formarsi della sua mente di filosofo. Una vita, che si rivede senza sbalzi furiosi, anzi come una placida corrente fluviale sul p:nno erboso, anche se non sempre ridente, |>crchè tutta la vita, per essere opera dcll’nomo, è per lui normale e buona. Ma, appena riflettete a questa critica con mente di critico, e, ad ogni accenno del modo come sorsero tante opere vigorose e originali (che il Croce fa quasi con un senso di serena umiltà), riferite le onere stesse nella pienezza della loro vitalità, vi accorgete che in questa esistenza, clic vuol apparire serena — com’è in effetti esteriormente — , l’elemento drammatico è tutt’altro che assente, se lo stesso filosofo fa confessioni come questa: «Quegli anni (della prima giovinezza) furono: mici più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarini al mattino»; o come quest’altra, che rientra più vivamente nel dramma del pensiero crociano, ed è un grido della volontà vittoriosa: «Appresi che il corso della storia ha diritto di trascinare e schiacciare gl’individui». Giacché, in questo*apparente contrasto d’ima serenità quasi borghese, restia a partecipare al prorompere della vita clic travaglia il mondo, e la più fervida adesione a questa vita medesima in (pianto è pensiero, meditazione, e quindi dubbio, dramma interiore, mi pare che si risolva e si affermi potentemente la personalità del Croce. «Àia questa esistenza — ci suggerisce ancóra nella Filos. della pratica (p. 4) — , quasi fisicamente delimitata, con la quale l’attività pratica si mostra nella vita, distaccata da quella teoretica, non ha certezza alcuna; e non è neppur, come si crederebbe, un fatto che s’imponga da sè. I fatti non s’impongono mai da sè, tranne clic per metafora: soltanto il nostro pensiero se li impone, quando ne ha fatta la critica e ne ha riconosciuta la realtà». Orbene, la sua vita esterna è stala veramente tranquilla, senza scosse precipitose, tranne l’ormai lontano svegliarsi «sepolto sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo», con accanto la madre il padre e l’unica sorella morti, nella orrenda catastrofe che distrusse Casamicciola.

Ma, da allora appunto, comincia il rodio dell’uomo, che, per la prima volta, forse, si sente vivo, e s’interroga, si scruta, e domanda alla vita che cos’è la vita. S’accorge, per la sua stessa natura meditativa, e sin d’allora inchinevole a cercare la sostanza delle idee’ fra i rottami formalistici e gli sfarfalli» retorici di una filosofia dozzinale e impura, che la chiarezza dei concetti si acquista con l’elaborazione dei concetti che si hanno, anzi con una incessante, spietata inchiesta intcriore; e, solo, senz’altra guida che il suo istinto critico, superando, quasi prima di averlo ricevuto, l’insegnamento di Antonio Labriola, si pone a costruire in sè stesso la sua idea del mondo, abbattendo l’idea degli altri, eppure aderendo con passione a certi modelli titanici della sua meditazione: Vico e De Sanctis su tutti, ma da tutti sciolto nello stesso momento in cui li ha collocati nella miglior luce storica. E qui giova ripetere che la sua formazione mentale non si è fatta, come erroneamente si crede, su Hegel e gli hegeliani. Certamente il dissodamento e il volgarizzamento della filosofia idealistica, già iniziato in Italia dai meridionali (Spaventa, De Sanctis etc.), che ha formato tanta parte dell’opera rinnovatrice del Croce, il quale, oltre a tradurre VEnciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1907) ha largamente contribuito alla pubblicazione dei «classici della filosofia moderna»

del Laterza, ha influito — nel paese delle etichette — alla sua classificazione di hegeliano; ma nessun equivoco, per chi voglia intenderlo, è più pericoloso di codesto. Già sin dal 1904, in uno scritto della Critica, clic poi venne ristampato nelle due edizioni di Cnltu(a e vita morale {1914-1926) egli fissò, anche per il pubblico minuto, il suo atteggiamento di fronte all*Hegel, concludendo, in sostanza, con questa domanda: — E se hegeliano non era lo stesso Hegel, come potrei esserlo io? — A quel breve scritto, pieno di buon umore, è bene riferirsi ogni volta che ricorre l’affermazione dell’hegelisino del Croce; ma meglio ancóra, trattandosi di gente preparata — a tutta l’opcrn suo (e particolarmente al Saggio sullo Hegel (1907-1913), chè, se mai, ha avuto, conte ho detto, due plinti di orientamento, assolutamente italiani e meridionali per giunta: Vico e De Sanctis; Vico, che gli ha nutrito l’avida mente come fonte naturale. De Sancf’s, che, nel fargli ritrovare la giustificazione filosofica dell’arte, gli ha cosparso di rose le asperità della ricerca, contribuendo a quella prodigiosa fiorita di saggi letterari, che sono tra le cose più belle della sua produzione.

Nella critica letteraria del Croce — che ha seguito i gradi dell’cvolvcrsi della sua teoria, passando dagli scrittori italiani della seconda metà del sec XIX ad alcuni dei più grandi rap presentanti della letteratura europea: Dante, Ariosto, Shakespeare, Goethe, Corneille, ccc. — , lo studioso, clic lo ha seguito, pensiero per pensiero, nel suo cammino, sempre col cuore desto accanto a un cuore più vivo, si solleva come su una ridente primavera — una primavera, però, clic non attutisce i sensi, bensì 1: rianima della vera luce della poesia, che non è sogno, ombra impalpabile, ma vita del nostro spirito, prodotto della nostra umanità.

Al Vico e al De Sanctis, clementi vivi della formazione crociana, si suole aggiungere, come ho detto, Antonio Labriola, anzi lo stesso Croce lo ricorda con insistenza non solo per il libro Materialismo storico ed economia marxistica (1900-1921), ch’egli scrisse sotto la spinta dei problemi suscitatigli dal maestro dell’Ateneo romano, ma anche per un certo intimo calore del discepolo verso il maestro.

E, senza dubbio, il Labriola ha partecipato al formarsi della mente del Croce; ma va detto subito che vi ha partecipato in senso negativo, dove il Vico e- il De Sanctis ban contribuito positivamente. I.a meditazione della teoria marxistica ha certamente anticipato la filosofia della pratica; ma, nè del Marx, nè del Labriola, è più nulla rimasto vivo nell’opera crociana, che si è, via via, ora per ora, accresciuta stinpre autonoma, in un lavoro di oltre trent’anni, che non conosce soste, e cerca riposo lavorando.

(Segue) V. G. Calati.

Simbolismo francescano S. Francesco non poteva prevedere le conseguenze clic sarebbero derivate da1, suo gesto allorquando spogliatosi degli abiti, li scagliò a’ piedi del proprio padre In quel momento il fondatore d’un nuovo ordine monastico taceva; sola parlava un’anima che gli Evangeli avevano destata, e il suo linguaggio riusciva altrettanto incomprensibile al negoziante di panni, che al pastore d’anime davanti al quale il gesto decisivo era avvenuto. Il gelo che fuori incrinava l’aria, non era nè meno ostile, nè meno freddo di quello che era nelle anime dei ragguardevoli personaggi adunati nella casa del Vescovo.

Solitudine e gelo era ciò che l’attendeva nella strada; eppure S. Francesco era comeestasiato o cantava al pari d’una capinera ebbra di sole e di libertà, allorquando un uomo semplice che ebbe di lui misericordia lo dotò dello sdrucito saio col quale già aveva affagottato l’uomo di paglia posto a guardia del suo grano.

Codesto episodio, che è il primo col quale il Santo ha iniziato la sua prodigiosa» vita nova» è in un modo affatto particolare significativoPer poco che l’attenzione vi si fermi, è il caso che l’episodio scompaia, per far luogo al simbolo clic accanto sembra urgerlo nel des’dcrio di venire alla luce.

Ma l’episodio stesso è altrettanto vero nel piano della realtà fisica che su quello della realtà dello spirito; non esistendo niù, per delle anime rarefatte e sublimi quale quella del frate d*Assisi, nè l’uno nè l’altro piano; tutti e due trovandosi unificati — e negati — in ciò che gli Evangeli chiamano «lo spirito glorioso del Cristo». Codesto» spirito glorioso» nel manifestarsi tramuta il corpo in anima e l’anima in corpo, rendendo possibile ciò clic un’iinpcrfetta conoscenza chiama il «miracolo». Forse non ad altra causa vanno ricondotte le famose stigmate, le quali verosimilmente non altro forse sono che pensiero plasticamente espressosi attraverso la carne. Poiché il suo corpo doveva essere plasmabile e molle come la cera; meglio, come la sottile materia che alle idee serve di sostanziale corpo.

Non è però in quel che or ora s’è detto la spiegazione totale (lei simbolismo urgente negli episodi della vita del Santo d’Assisi. Bisogna ricercarla nel fatto che i mezzi coi (piali S. Francesco s’è liberato’dai vincoli della soc;ctà e della famiglia sono così sentiti, semplici, e vicini all’Assoluto, che diventano immediatamente tipici e distinti, come le idee e come appunto i simboli, i quali hanno significato universale e vita eterna, perchè alieni dalla schiavitù dei sensi, e perchè viventi in sereni mondi dove lo spazio e il tempo non sono più i furiosi Cerberi che latrando l’anima sospingono verso la bolgia e il fango della quotidiana morte.

Di gesti conte quello della svestizione davanti al padre ed al Vescovo è piena la vita di S. Francesco; clic- tutta si consumò nel fuoco avvampante d’una diuturna rivolta al morto peso della sociale correlazione, riguardo alla (piale fu un iconoclasta, come sempre lo sono stati i grandi spiriti ed i fondatori di religione, compreso quegli clic fu il costante esemplare del Santo, il Cristo Gesù.

Se anche nei riflessi pratici di questa rivolta è potuto sembrare un uomo de’ suoi tempi pure non lo era, pel fatto clic In sua figura era troppo alta e lata per potere restare contenuta negli angusti limiti della storia.

Anche la sua santità non può venire circoscritta in tali limiti nò dal tempo prendere il proprio colore, poiché egli era veramente un santo, vale a dire un «separato», ciò che in termini moderni chiomosi un «uomo libero e disincantato», pel (piale il mondo creato dagli uomini non è che una parvenza vana, mentre il mondo creato da Dio è un libro apcrto iti cui è dato leggere le intenzioni dell’Altissimo.

Per questa sua inappetenza del mondo, le «cose» che con lui venivano a contatto erano come rinverginate; sctioiichè un nuovo pudore era sorto nel suo animo e un nuovo gioioso senso della natura.

Non turbandole colla passione, le «cose»

diventano tutte libere e tutte belle; non desiderandole, in loro stesse le considerava (piali indipendenti creature di Dio, e come tali ne rispettava la singola vita, e le amava..

Era un modo di trasfigurarle, di redimerle e di iinialy.arle, nel contempo che gli era dato d’istituire tra di esse e la sua anima quella viva corrente di simpatia che forse ha resa possibile la comunicazione del»Sauto col mondo vegetale ed animale, e in dolci accenti s’è espressa nel più apollineo canto della nostra letteratura, il Cantico delle creatureE verso le creature non doveva nutrire amorc solo perchè avevano yccvutn la vita da Dio, come l’aveva ricevuta lui; ma perchè, e per lui e per gli altri uomini in grado di intenderle, erano dei simboli che vivevano, delle volontà personiAcato: in.senso evangelico delle lampane atte a rendere palesi le intenzioni dell’Altissimo. Il mondo di S. Francesco somigliava un’orchestra in cui esseri perituri ed (.sseri di natura immortale agivano per cantare le lodi del Creatore, e di fronte ad essi si suitiva così estasiato ed umile da prosternarsi in commossa adorazione. L’umiltà di S. Francesco è tutta in questa estasiata adorazione del mondo, all’istesso modo che la poesia di cui il suo animo era capace è tutta nella sua vita, a petto della quale anche il Cantico è morta letteratura.

Armando Cavalli.

G. B. PARAVIA & C.

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