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102 Matteo Bandello

XLVIII.

Invoca da Amore di poter contemplare gli occhi vaghi della Mencia: canterebbe allora di lei soavemente.


S’un guardo sol di que’ begli occhi vaghi
     Possenti ad abbruciar Nettuno in mare,
     M’arse, e le fiamme son sì dolci, e care,
     4Ch’altro non vuo’ se non che ’l cor s’impiaghi:
Amor, perchè quest’occhi non appaghi
     Dell’alma vista delle luci chiare?
     Perchè non fai ch’i’ possa ognor mirare
     8Que’ rai, che son così celesti e maghi?
Che s’io potessi innanzi a lor fruire
     Quel caldo lume che sfavilla ognora,
     11Qual fora gioia a par del mio tormento?
I’ canterei sì dolcemente allora
     Le lodi di Madonna, e ’l mio martire,
     14Ch’ella felice, ed io sarei contento.


V. 2. Abbruciar Nettuno, il Dio marino. Potentissimo, infocato, dunque, tale sguardo.

V. 8. Celesti, celestiali e, nel tempo stesso, azzurri come il cielo; maghi, pieni d’un magico fascino.

V. 12. La terzina ha una insolita disinvoltura, nel contrapposto del penultimo e nel chiasmo dell’ultimo verso.