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224 | Matteo Bandello |
CLVII.
Sonetto sacro.
Dio si fa uomo per redimere il mondo dal peccato.
Vestita ha carne umana il Divin Verbo,
Ch’era in principio, e sempr’è al Padre uguale.
Non lascia il Cielo, e pur si fa mortale,
4Per addolcir del pomo il morso acerbo.
Lucifero oggi, e ’l coro suo superbo
Indarno contra noi distendon l’ale,
Perchè nostra natura tanto sale,
8Che veste chi la fece del suo nerbo.
O somma dignitate, o gran virtute
Non mai più vista, una terrestre spoglia
11Rende le grazie a noi da Adam perdute!
Uomo si fece Iddio, nè già si spoglia
L’eterna maestà. Così salute
14Ritrova il mondo dell’antica doglia.
V. 1. Il Divin Verbo: et verbum caro factum est. È la parafrasi esatta del passo sacro.
V. 5. Il coro degli angeli ribelli, ora demoni; cfr. Dante: «Mischiate sono a quel cattivo coro», Inf., III, v. 37.
CLVIII.
La Mencia sarebbe senza pari al mondo se non fosse crudele verso il suo amatore: se vivrà a lungo, in vecchiaia se ne pentirà, ma invano. Questo sonetto va accostato al petrarchesco imitato, tra gli altri, dal Bembo: «Se la mia vita da l’aspro tormento», Canzoniere, XII.
O dove il Ciel sì largo ogni favore
Di grazia e di bellezza infonde, e tale