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246 Matteo Bandello

     4Al ciel ne mandi, com’il duol ti punge;
Quando vedrò dov’alle mura aggiunge
     D’Ocno il bel Mencio, e sì famoso tiensi,
     Ch’ivi prima arsi, e giammai non mi spensi,
     8Sì vivo fuoco Amor al cor mi giunge?
Lasso! che raccontando l’ore, e i giorni
     Da ch’io dinanzi a te non alsi, ed arsi
     11Ho di mia vita lungo spazio corso.
E veggio ambe le tempie già cangiarsi
     Bramando indarno il fido mio soccorso,
     14Ch’alberga dentro a’ tuoi begli occhi adorni.


V. 6. Ocno, dove il Mincio aggiunge, tocca le mura di Mantova, detta Ocno che fu figlio dell’indovina Manto da cui la città ebbe nome. Per Ocnus e Manto cfr. Virgilio, En., X, 198-99.

V. 11. Lungo spazio, dodici anni già ha specificato al sonetto CLXIX, vv. 1-2.

V. 12. Ambe le tempie, incanutire; cfr. Petrarca in Canzoniere: «Se bianche non son prima ambe le tempie» (LXXXIII, v. 1). «Del fiorir queste innanzi tempo, tempie» (CCX, v. 14).

V. 14. Alberga, il Petrarca dice: «fa nido», Canz., LXXI, v. 7; e Dante: «Negli occhi porta la mia donna amore», Vita Nuova, IX.


CLXXXI.

È la prima delle tre Canzoni degli Occhi. Così noi le denominiamo analogamente a quelle del Petrarca in tal modo battezzate dal Leopardi (Canz., LXXI, LXXII, LXXIII). Anche queste del Bandello come quelle del Petrarca sono nel congedo dette «sorelle». E come delle petrarchesche vantate per «vaghissime, graziosissime, meravigliosissime» (cfr. ed. Petrarca cit., pp. 102-3), possiamo dire che costituiscono (la definizione è del De Sanctis) una «specie di poemetto lirico sugli Occhi di Madonna diviso in tre Canzoni».
        Il Bandello compone qui per gli occhi della Mencia il suo canto migliore, dopo averli incidentalmente — nè cesserà in seguito –