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282 Matteo Bandello

     Da che ’l verme d’Amor il cor mi morse,
     4Cagion de’ miei soverchi aspri dolori.
Da indi in qua d’ogni speranza fuori,
     D’aver mai tregua, quanto in ciò m’occorse
     Scrissi piagnendo, e della vita in forse
     8Ancor travaglio in mille strani errori.
E ben che veggia, come fatto veglio
     Cangiato ho il pelo, e quasi giunto a riva
     11Abbia di vita omai, o nulla, o poco,
Pur forza m’è ch’al suo voler i’ viva,
     E sì da lunge innanzi abbia lo speglio
     14Di quell’eterno di begli occhi fuoco.


V. 1. Molte stagion, invernali e primaverili.

V. 10. Cangiato ho il pelo, cfr. Petrarca: «Di dì in dì vo cangiando il viso e ’l pelo», Canz., CXCV, v. 1, e parimenti ivi, CCCLX, v. 41.

V. 13. Lo speglio, lo specchio di quegli occhi ov’arde fiamma perenne.


Canzone del Bandello
della bellezza e delle rarissime grazie
della divina signora
Lvcrezia Gonzaga di Gazvolo.

CCIV.

Il Canzoniere è finito: si è conchiuso col sonetto CCIII.
        Questa Canzone — come quella che precede la raccolta delle rime alla Mencia — è dedicata ad altra donna: entrambe sono di omaggio devoto, di ossequio gentile.
        Ritornano tuttavia in questa Canzone per la «divina Lucrezia» da lui, si legge nel Novelliere, «santamente amata», con uniformità monotona, non poche delle lodi già prodigate alla Mencia mantovana. Essa è detta donna superiore a tutte l’altre dell’età