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332 Matteo Bandello

     Mugghiar più strane belve,
     Chè nè al fuggir nè al star l’animo valme.
     Quando fie mai, fortuna,
     Che veggia, allor che, il sole
     50Calando, l’aere imbruna,
     Le pecorelle mie la sete trarsi
     Su queste rive, e con l’usate salme
     Tornarsi a casa; e in queste piagge sole
     S’odon le mie parole?
55Quando fie mai che ’l bel volto di tauro
     O re de’ fiumi, le tue amate ninfe,
     Ti spargano di latte e chiare linfe,
     Coronando di fior le corna d’auro?
     E i tuoi pastor di mirto e verde lauro
     60Adornino le mandre, e a gli alti abeti
     Vaghi sospendan le zampogne e gli archi?
     E di teneri agnelli sacrifizio
     Ti facciano, con preghi e voce umile,
     Ch’a l’estivo solstizio
     65Nel tuo gonfio ondeggiar gli argini varchi
     Perchè a l’usato ovile,
     Mentre ha men forza il sole,
     Finchè ritorni aprile,
     Possano starsi, e poi tornarsi lieti
     70A le campagne aperte e ameni parchi?
     O re de’ fiumi, in queste piagge sole
     Odi le mie parole. —
     Così diceva; e tra verdi arboscelli
     Giacèa, fra l’erbe la mia Mencia all’ombra,
     75Qual chi di dolce sonno l’aura ingombra
     Col mormorar de’ limpidi ruscelli.
     Sparsi le aveva Zefiro i capelli
     Per quel candido collo e per la fronte;
     E tremar si vedean soavemente
     80Le marmoree mammelle entro al bel velo,
     D’arder d’amor côr freddi, aspri e selvaggi:
     Quando, svegliata, al cielo
     Volse i begli occhi con splendor sì ardente,
     Che dier lume i bei raggi
     85U’ non passava il sole