Vai al contenuto

Pagina:Il Canzoniere di Matteo Bandello.djvu/56

Da Wikisource.

Il Canzoniere 55

     E mille cose degne quivi impari
     110Dolci parlari, e cari,
     Che l’uom dal ben alzate a far il meglio
     E sete delle Grazie il vero speglio.
Qual parte dunque, Musa mia, dirai
     Di tanta Donna eccelsa, e gloriosa,
     115S’ogni in lei parte avanza il nostro dire?
     Quel divin spirto forse, dove posa
     Quanto di buon si vide in terra mai,
     Cerchi lodar, e quanto val scoprire?
     Ma chi potrà tant’alto unqua salire?
     120Chi le virtù di questa s’affatica,
     Quali elle sono dimostrar al mondo,
     Vuol questi il largo mar, e sì profondo
     In picciol rivo por senza fatica.
     Dunque altro non si dica
     125Se non del Re Francesco la Figliuola,
     E dirà donna vera, saggia e sola.
Tu n’anderai, Canzon, sovra la Senna,
     U’ l’alma Margarita Francia ammira.
     Dille: Un che in riva alla Garonna stassi,
     130A Voi m’invia con riverenti passi,
     E vostre lodi indarno dir sospira.
     Perciocchè Dio sì mira
     Vi fa, che qui l’idea del Valor sete,
     E ’l titol di perfetta possedete.


Vv. 1-2. Eroi, Eroine. E in novella II-36: «Onde mosso dal testimonio mio il signor Giulio Scaligero nei suoi Eroi,... e ne le Eroine... ad instanzia mia ha fatto, ecc.». Così adunque suole il Bandello denominare i gentiluomini e le gentildonne di cui parla. Ed il medesimo epiteto adopera Giulio Cesare Scaligero quando, per sua istigazione, canta in versi latini nei Poemata, ediz. cit., le Heroinæ ad M. Bandellum.

Vv. 4-6. Mia Musa, invocazione alla Musa e disegno, che solo