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Pagina:Il Canzoniere di Matteo Bandello.djvu/85

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82 Matteo Bandello

XXVI.

Arde per la Mencia, che si fa beffe di lui: ed egli, tuttavia, è pronto a morire per lei.
      Madrigale.

So ben che chiar vedete, ahi caso rio!
     Donna, com’io per voi son posto in fuoco,
     Ma l’aspro mio martir prendete a gioco.
     Or s’a voi piace, e pur v’aggrada, ch’io
     Ardendo pera, dolce m’è ch’i’ mora; 5
     Perch’altro al mondo, Donna, i’ non disio
     Che farmi vostro, ed ubbedirvi ognora.
     E se per voi di vita i’ vado fora,
     Vostro morendo, qual più lieta morte
     Può darmi il Ciel, Fortuna, Amor, o Sorte? 10


V. 10. Ciel, Fortuna, Amor, o Sorte, cfr. Petrarca: «Non basta ben ch'Amor Fortuna e Morte», Canz., CCLXXIV, v. 2.


XXVII.

Arde — e gela — d’amore per la Mencia. Consueto gioco d’antitesi. Virtuosismo formale.

Se ’l mio bel fuoco m’arde, e agghiaccia in modo,
     Che scemar non si può non che smorzarsi,
     Ond’io sì dolcemente ed alsi, ed arsi,
     E gielo, ed ardo sì, che sempre i’ godo: 4
Volete al ghiaccio, e al fuoco i’ ponga modo,
     Com’Amor possa a voglia raffrenarsi:
     Nè vi par debba il tempo consumarsi