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sotto i Longobardi ed i Bajoari; finché divenuta sede d'una contea sotto i Carolingi e gli Ottoni, fu donata da Corrado il salico ai vescovi di Trento. Si reggeva a comune; era immediatamente assoggettata al vescovo, che vi aveva un proprio gastaldione amministrante le rendite episcopali. Già allora aveva dell’importanza per i suoi commerci, per la produzione del vino e per il suo teloneo. Pagava un tributo al vescovo, scompartito sulle case, e vi si parlava l’italiano, come affermano i nostri più vecchi istoriografi.

Terzo per importanza fra i municipii trentini era quello di Riva benacense, o in — summo lacu — come dicevasi in quei secoli, che sempre si resse a comune, nè fu mai soggetta ad alcun locale feudatario. La sua posizione alle rive del Benaco, la attiva navigazione che vi intratteneva, e l’essere centro di un esteso territorio, quale costituivano le pievi di FinaleFonte/commento: Pagina:Il Ducato di Trento nei secoli XI e XII.djvu/10, Ledro e Bono che vi concorrevano, nonché le sue fiere di primavera e d’autunno già salite in rinomanza nel secolo XII, facevano di Riva uno dei luoghi più accarezzati dai principi, che di sovente vi dimoravano, vi tenevano le loro curie e la favorirono con varie concessioni e privilegi. Riva, nel decimo secolo, sembra essere stata una corte imperiale, come leggesi in documento dell’anno 937 col quale Ugone e Lottario re d’Italia confermano la donazione fatta da Berengario Augusto a sua moglie Anna imperatrice delle due corti poste in — summo lacu — dette Ripa e Mauriatica (forse Mori estendontesi sino a Nago e Torbole). Con Riva commerciavano assai attivamente i Mantovani, che nell’anno 1014 ottennero un privilegio imperiale che gli esentava da ogni dazio e ripatico imposto sulle merci trasportate per — summum lacum. — Già nell'anno 1124 il vescovo Alternando concesse al comune di Riva, rappresentato da dodici vicini, il diritto di costruire e presidiare un castello a difesa delle persone e delle sostanze, attribuendogli una giurisdizione sui ladri, malfattori, debitori, traditori e nemici del vescovado; ed accordando una ammenda di cinque soldi a chi contravvenisse ai bandi del mercato.

Di un Sindaco di Riva abbiamo memoria in una sentenza per confini fra Arco e Riva del 1145; e nel 1135 i Rivani si confessarono tributari del vescovo di XII monete veronesi per casa, giurarono di diffenderlo per tutta la contea, purchè a ciò diffidati, di farsi capo della guerra in summo lacu, cioè nella parte superiore del Benaco e di ajutare il vescovo a proprie spese. All'incontro questi si obbligò a non infeu-