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Vescovo di Novara, il quale soleva accompagnare S. Carlo nelle visite pastorali, certamente imbattutosi in copia migliore, ci conservò questi due punti principali nei suoi Fragmenta Historiae Mediolanensis (pg. 6), dei quali si servì anche il Giulini (P. 1, p. 238), che deplora, che non sia stata dal dotto prelato riferita intera, giacchè ora, egli scrive, più non si ritrova. Noi così più fortunati in questo di lui possiamo ora correggere diverse inesattezze da lui commesse nel darcene contezza sul semplice tratto trascitto dal Bescapè1.

La prima e più importante delle quali è che Eremberio fondatore della Chiesa di S. Siro, poi chiamata di S. Primo, in Legiuno, posta nel territorio di Seprio (in loco et fundo Legeduno finibus Sepriensis), come poi si legge2, era conte, quando nella nostra pergamena è chiamato col titolo di semplice vassallo (vassallum dominorum regum) o di uomo onorevole (vir honorabilis) dal regio notaio Analberto, che stese e firmò questo istrumento3. Dovette però essere uomo ricchissimo e abitante della stessa pieve di Legiuno, come appare

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  1. Questi aveva detto che la pergamena faceva menzione del solo Lottario, mentre vi è espressamente nominato anche Lodovico suo figlio; per cui cade a terra l'osservazione fatta dal Giulini (ivi, pag. 241), il quale attesta il contrario.
  2. Al Sepriensis si sottintenda comitatus, ovvero si abbia per modo sgrammaticato in luogo di sepriensibus. Di simiglianti errori, come avrà avvertito da sè anche il lettore, non v'ha penuria nelle nostre carte; e ne vedremo altri molti andando innanzi. Gioverà poi qui di notare che colla parola finibus nelle nostre carte non s'intende già di indicare un luogo posto ai confini di un territorio, ma sì il territorio stesso, entro i limiti del quale si trova quel dato luogo.
  3. Erano i vassalli uomini di corte, i quali prestato il solito giuramento di fedeltà, avevano il dovere ed anche il diritto di far corteggio ed onore al re, e ad una occorrenza accompagnarlo in viaggio, specialmente per Roma. Le città Longobarde così dicevano all'Imperatore Federico verso il 1173, in un programma di concordia: Imperator fidelitatem a vassallis exigat ... Vassalli etiam expeditionem et faciant secundum quod soliti sunt et est antiqua consuetudo, cum pergit Romam. Vedi il Muratori, Antiq. Med. aevi. Essi vassalli poi venivano rimunerati con feudi e fondi, e ne pigliavano l'investitura e il distintivo del bastone, detto Sceptrum regale.