900E sul labbro vezzoso era un sol detto
Di molta lode al suo signor. Se il mio
Prence, gli disse lusingando, alcuno
Gradimento ha di me, l’arte io posseggo
Studiata de’ cibi, e onor men venne. 905L’udì meravigliando e onor gli fece
Dahàk possente e per quell’arte sua
Orrevol loco entro a sue case antiche
Gli destinò. Gli dava il maggiordomo
Ampio poter su la regal cucina; 910E poi che scarsi erano ai prischi tempi
I cibi e minor copia eravi allora
Di ciò che l’uom ne’ giorni suoi si mangia, Ahrimàn truculento entro al suo core
Uccider si pensò con man perversa 915I docili animanti. Al suo signore
Ei diede in pria novello cibo, ed ova
Eran coteste. All’inusato cibo
Nuovo gli diè vigor per alcun tempo;
Ma in ordin poi di più diverse carni 920Vivanda gli apportò nuova e gradita,
Di carni di quadrupedi e di augelli
Della campagna. Qual lïon selvaggio
Di sangue ei lo nutria, che dispietato
Volea quel cor. Così, con pronta cura, 925Ei l’obbedìa costante, e schiava a lui
Era quell’alma. Si cibava il sire
E fea sue lodi al giovinetto, e assai,
Stolto e infelice!, ne traea diletto.
Vivi eterno, o gran re!, dissegli un giorno 930Iblìs incantator. Tale vogl’io
Diman recarti su la mensa un cibo,
Che più forte sarai, tanta fia in esso
Virtù riposta, a sostentar propizia.
Disse, e partì. Tutta la notte allora 935A pensar si restò qual nuovo cibo