Pagina:Il Libro dei Re, Vincenzo Bona, 1886, I.djvu/167

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Apprestar si dovesse alla dimane,
Degno di meraviglia; e al dì che venne,
Allor che questo sol fulgido apparve
Nella vôlta del ciel sereno e puro,
940Di giovani pernici e di fagiani
Che han bianche penne, una vivanda ei fece.
Venne con quella, e nuova speme il core
Balzar gli fea. Stese la man bramosa
Degli Arabi il signor lieto e festante
945Alla mensa imbandita, e la sua mente,
Priva di senno, all’amor suo pel vago
Giovinetto più e più vinta ei lasciava.
Iblìs, al terzo dì, carni d’augelli
E d’agni ancor lattanti, in strana guisa,
950Le mense gli adornò; ma al quarto, al tempo
Che la mensa egli appose, i pingui lombi
Gustar gli fe’ di tenera giovenca,
E v’eran dentro acqua di rose e biondo
Zafferano odoroso e intatto muschio
955E vino espresso da molt’anni assai.
     E Dahàk ne gustò, la man porgendo
Alle dapi novelle, in fin che molta
Gli entrò nel cor per quell’acuto ingegno
La meraviglia. Oh! vedi tu, gli disse,
960Qual desiderio dimandar più vuoi;
E questo chiedi a me, dolce mio amico!
     De’ cibi il facitor così rispose:
O re, viver tu possa eternamente
Lieto, nel voler tuo libero e sciolto!
965Ma pieno è questo cor per te d’amore,
E a quest’anima mia forza e sostegno
Son nel tuo viso. Presso al mio signore
Sta un voto mio, ben che di me sì grande
Non sia pregio o virtù. Comandi il sire
970Ch’io baci a sommo gli omeri di lui,
Gli occhi v’apponga e il volto mio! — Que’ detti