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Evvi il gran Titio, e l’ingordo Avoltore,
Ch'il fegato gli stirpa, svelle, e frange,
Non manca'l cibo mai, cresce il dolore,
2668Per cui si plora, si contorce, e piange.
Tantalo i frutti vede, hanne l’odore,
Ma gustar non ne po, si crucia, & ange
Per la gran fame, & ha tal dura sorte,
2672Pe'l dato cibo alla celeste corte.
Le Belide piu oltre appresso a quello
Cercan di por l'infinite onde al fine
Col perforato, e fallace crivello,
2676Cosa impossibil certo alle meschine.
Non tanto fuoco, e fumo è in Mongibello,
Quanto si vede in l’infernal fucine,
L’aria tutta è caliginosa, e nera,
2680Per cui vagano l’ombre afflitte a schiera.
Lascio l’Inferno, e via le luci passo
Al resto, ch’orna la nobil pittura.
Quivi Andromeda veggio avvinta al sasso,
2684Che sembra un vero essempio di Natura,
E’l marin mostro gia vicino al passo
Per voler d’inghiottirla prender cura:
Ma l’alato Perseo, che brama quella,
Doma il gran mostro, e salva la donzella.