Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
― 156 ― |
stasio che accorreva da un punto all’altro, con in testa la corona di vimini un po’ di traverso e la disciplina in mano, per mostra. Poteva fare due cose nello stesso tempo, flagellarsi le spalle e badare all’ordine della processione, alle fermate, alle riprese? — Psi! Psi! Psi! Avanti! Avanti! — Si udiva soltanto la sua voce, si vedeva soltanto un suo braccio, messo fuori dalla larga manica, trinciante l’aria con rapidi segnali. E la imperiosa tromba del suo naso e la sua poderosa pancia che sporgeva stretta dal cordone trionfavano allorchè egli si fermava a gambe larghe, in mezzo alla via, quasi argine, per far passare a giusta distanza le due file della processione che accennavano a serrarsi incalzate dalla folla.
E quel giorno....
Il marchese avea dovuto andare dalla zia baronessa per trovarsi colà con la famiglia Mugnos che voleva assistere da un terrazzino al passaggio della processione. Nervoso, irrequieto, rispondeva spesso fuori tono alle domande della zia e della signora Mugnos. Si affacciava, rientrava, tornava ad affacciarsi; e la processione sfilava, sfilava, interminabile, tra la folla enorme.
— Che hai, nepote mio?
— Niente. Certi spettacoli.... non so.... fanno un effetto....
— È vero.