Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/164

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E nei momenti in cui, suo malgrado, il marchese si sentiva spinto a fare confronti che gli sembravano profanazioni, scoteva la testa per scacciarli via, ripetendo mentalmente:

— Questa, questa è la donna che ci vuole per me!

Glielo dicevano anche gli altri in Casino, fin il dottor Meccio che pareva volesse entrargli in grazia dopo la sfuriata di mesi addietro.

— Bravo, marchese!... Un angelo!... Avete scelto un angiolo!... Tutte le virtù!... Debbo confessarvelo? Io ce l’ho avuta un po’ con voi, vedendovi vivere come un romito, lassù! Questo è il primo passo; poi verrà l’altro. Siamo qua, tutti, per portarvi in palma di mano. Il paese ha bisogno di uomini energici e onesti, onesti specialmente! Voi mi capite. Stiamo passando un brutto quarto d’ora. Povero Comune!

— Niente, dottore! Riguardo ad affari comunali....

— Ma se gli uomini come voi si tirano indietro!

— Ho troppi grattacapi in casa mia.

— È casa vostra, è casa nostra il Comune!

— Niente! Da quest’orecchio non ci sento.

E lo lasciava a spasseggiare su e giù pel salone del Casino, con la gran canna d’India infilata sotto braccio, come una spada, lungo, diritto, impettito.

Nell’attesa che l’intonaco delle stanze si asciugasse, che arrivassero da Catania il pittore pei soffitti e gli operai per tappezzarle, il marchese ora,