Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/186

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nia di attività che da qualche tempo in qua lo urgeva, spingendolo troppo fuori dalle sue vecchie abitudini.

Il cugino, il dottor Meccio e parecchi altri, picchia e ripicchia, avevano un po’ scosso la sua risoluzione di mantenersi assolutamente estraneo alle fiere lotte municipali. Resisteva ancora, ma con visibile fiacchezza:

— Dove volete condurmi? A che pro? Tanto, non mi persuaderete che vi sia da fare un po’ di bene nell’arruffata amministrazione comunale che si regge appena a furia di tasse!

— Il Comune ha tesori, marchese! Ma bisogna strapparli di mano a coloro che se li posseggono tranquillamente perchè non si è mai ardito di disturbarli. Affari del comune, affari di nessuno! È la bella massima che prevale.

— E pretendereste che mi metta all’opera io, dottore?

— Lei non ha interessi particolari. Cioè, ne ha: è debitore del Comune anche lei, per Margitello, dopo lo scioglimento dei diritti promiscui. Dovrebbe dare l’esempio con un’onesta transazione.

— E i sequestri dei creditori? Non me li levate di addosso voi.

— Si convochino, tutti; s’invitino a transigere anche loro. Sarebbe come invitarli a nozze. Non vedono, da mezzo secolo, il becco d’un quattrino! Se lei potesse dire agli altri debitori: Fate come ho fatto io....

— Penserebbero: “Il marchese di Roccaverdina