Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/209

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— Eh, già! Noi poveretti abbiamo sempre torto!

— Tempo chiuso, cavaliere! Ogni goccia è un pezzo di oro che casca dal cielo!

— Proprio così, don Stefano!

— Sant’Isidoro finalmente ci ha fatto la grazia!

— Voi, don Giuseppe, s’intende, tirate l’acqua al vostro mulino; non siete sagrestano per nulla!

Si aggruppavano imperterriti, senza curarsi che gli ombrelli li riparassero male; e, per uno che andava via, due, tre ne sopraggiungevano, quasi non potessero contentarsi di sentir scrosciare i canali e veder gonfiare i rigagnoli per le vie; volevano godersi la vista delle campagne che bevevano, bevevano, bevevano e non arrivavano a saziarsi! Ah, quella pioggia avrebbe dovuto durare una settimana, senza smettere un solo momento! Ci volevano pei terreni almeno tre palmi di tempera!

Da una finestra di Margitello l’ingegnere additava al marchese la gente che stava a guardare su la spianata del Castello. Non ostante il velo steso dalla pioggia, si distinguevano le macchiette nere che apparivano, cangiavano posto, si diradavano, tornavano a radunarsi.

Era giunto fin laggiù lo scampanìo di tutte le chiese alle prime goccie di pioggia. E colà, contadini e lavoranti si erano abbandonati a una frenesìa di grida, di salti di gioia nel cortile, mentre i ragazzi si divertivano a pestare coi piedi nelle pozze e a