Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/210

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sbruffarsi in faccia, l’uno a l’altro, l’acqua raccolta nelle palme.

Ora, affacciati alle porte delle stanze a pianterreno, si davano spintoni per buttarsi fuori a vicenda a prendere un’insaccata di quella che veniva giù fitta quasi la rovesciassero con gli orci.

— Eh, ragazzi!... Finitela! — gridò il marchese sporgendosi dal davanzale.

Eppure tutta quell’allegria avrebbe dovuto fargli piacere!

La pioggia tanto desiderata e tanto invocata, gli aveva messo addosso, al contrario, un senso di tristezza; gli scherzi dei ragazzi lo irritavano.

Aveva ripetuto anche ultimamente a Zòsima: — Non piove! Vedete? Non piove — e la risposta di lei: — Non c’è fretta! — gli aveva fatto una cattiva impressione, che però si era sùbito dileguata appena ella aveva soggiunto: — Margitello non vi lascia pensare ad altro! — Ed ora che la pioggia era venuta, e che pioggia! ora che il solo lieve ostacolo frapposto tra loro due era già rimosso, egli non solamente non ne sentiva gioia, ma stava là, davanti a quella finestra, con gli occhi fissi su gli eucalitti grondanti acqua dai rami curvi e dalle lunghe vecchie foglie lavate dello strato di polvere che le aveva fatte ingiallire e inaridire; stava là, con gli occhi fissi, quasi il sogno che avrebbe dovuto presto avverarsi si allontanasse rapidamente,