Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/234

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La povera donna si rivolse anche a lui:

— Ah, signor cavaliere! Metta una buona parola, voscenza!

— Sì, sì; intanto andatevene. Se credete che il marchese non abbia altro da fare!

E la nottata precedente alla domenica in cui doveva avvenire la votazione, il marchese era andato attorno, accompagnato dal cugino e da parecchie persone fidate, a bussare alle porte degli elettori che dormivano tranquilli, per incoraggiare gli esitanti, per tentare gli ultimi assalti su coloro che resistevano, per condurre, come prigionieri, in casa sua quelli di dubbia fedeltà, o che non avrebbero saputo resistere alle pressioni degli avversari. E per le vie, pei vicoli, le squadre dei due partiti s’incontravano guardandosi in cagnesco, scambiandosi motti ironici, prendendo allegramente la cosa, secondo gli umori delle persone.

Il marchese non si era mai sognato di dover arrivare fino a questo punto. In certi momenti, sentiva nausea, stanchezza di quei piccoli intrighi. Intanto, si trovava nel ballo; doveva ballare! Un bel giorno, quando si sarebbe seccato, avrebbe mandato tutti - Municipio, Consiglio, elettori - tutti a farsi benedire! Non voleva ridursi il servitore di nessuno.

Era tornato a casa all’alba, e si era messo a letto, che non ne poteva più. Di là, intanto, nella sala da pranzo, quei mascalzoni vuotavano bottiglie di vino