Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/250

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candelabri di legno dorato con candele di cera accese a già consumate a metà, aveva sùbito riconosciuto le teche d’argento delle reliquie vedute esposte nella sacrestia di Sant’Isidoro nell’occasione dell’ultima visita diocesana del vescovo. La piccola, con le falangi di un dito di san Biagio, protettore contro il mal di gola; l’altra, con un avambraccio in cera che serviva da astuccio a un osso dell’avambraccio di sant’Anastasia.

Di rimpetto al cassettone, sul tavolino parato egualmente con tovaglia da altare, tra due candelabri con candele accese e sgocciolanti, in un vassoio di cristallo stava il cordone di argento del Cristo alla Colonna, della chiesa di San Paolo, che si concedeva soltanto in casi estremi e a fedeli di riguardo.

Poteva mai aspettarselo? E guardò, sbalordito, il cugino che, con cenni del capo e mugolando stentate e quasi incomprensibili parole, lo invitava ad accostarsi.

Seduto sul letto, appoggiato a un mucchio di guanciali, con in testa un berretto bianco di cotone, a maglia, che gli nascondeva anche le orecchie, coi sacchetti degli empiastri applicati alla gola e tenutivi aderenti da una larga fascia di lana grigia, col viso congestionato, con gli occhi rigonfi, coperto da un mantello di panno verde-bottiglia dai cui lembi uscivano le mani che stringevano un piccolo Cristo di ottone su croce di ebano, il cavalier Pergola, così infagot-