Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/251

Da Wikisource.

― 247 ―

tato, era quasi irriconoscibile. E soltanto la presenza dell’afflitta signora e dei bambini potè trattenere il marchese dal prorompere in una lunga e sonora risata.

La risata però gli fremeva dentro ed era anche qualche cosa di amaro, di profondamente triste, convulsione nervosa e sgomento prodotti dall’immensa delusione che lo inchiodava là, imbalordendolo, su la soglia.

— Ma.... dunque?... Ma.... dunque? — pensava ansiosamente, accostandosi al letto del malato.

— Perdonatemi!... Vi ho.... dato.... scandalo!

— Zitto! Non vi sforzate! — egli lo interruppe.

Quelle parole, che uscivano strascicanti dalla gola quasi senza aiuto della lingua, facevano soffrire anche lui.

— Vi ho dato.... scandalo.... con quei libri...! Bruciateli!

Il marchese si sentiva già preso da vertigini, come su l’orlo di un abisso senza fondo.

— Ma.... dunque?... Ma dunque?

Faccia a faccia con la morte l’ateo, il baldo bestemmiatore, il feroce odiatore d’ogni religione e dei preti, rinnegava tutt’a un tratto i suoi convincimenti, diventava una femminuccia, si circondava di reliquie, chiamava il confessore, voleva benedetto il suo matrimonio! Ed era stato il suo iniziatore, il suo maestro quasi! Oh!... A chi doveva egli credere