Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/6

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Egli si riscosse, guardò la nutrice e parve percepisse soltanto dopo alcuni istanti il suono della voce di lei e il senso delle parole.

— Fàllo entrare — rispose.

Poi, all’atto della vecchia che accennava di voler chiudere la vetrata, soggiunse:

— Chiudo io.

Si udì sùbito lo sbattere di pochi goccioloni su i vetri che tremavano scossi dall’aria agitata dalla ondulazione dei tuoni.

La tavola era sparecchiata. Un lume di ottone, a quattro becchi, illuminava scarsamente la stanza. Il marchese non poteva soffrire il petrolio, e continuava a servirsi degli antichi lumi a olio per l’uso d’ogni sera. Soltanto nel salotto, e perchè gli erano stati regalati dalla baronessa di Lagomorto, sua zia paterna, si vedevano due bei lumi di porcellana, a petrolio; ma non venivano accesi quasi mai. Egli preferiva le grosse candele di cera dei candelabri di argento a otto bracci, che ornavano colà le consolli dorate, nelle rarissime circostanze in cui doveva ricevere qualche persona di conto.

Con l’avvocato Guzzardi non occorreva. Era di casa, veniva a tutte le ore; entrava fino in camera, se il marchese si trovava ancora a letto.

All’infoschirsi del viso, si sarebbe detto che quella visita, a quell’ora, con quel tempaccio, non riuscisse molto gradita al marchese.