Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/80

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— Il mio cuore è sempre qua! Verrò a morirvi un giorno o l’altro.

— E avete faccia di lagnarvi, dopo che ve li ho pagati settant’onze?

Il vecchio si strinse nelle spalle, e riprese la sua positura.

— Montate in serpe con Titta — soggiunse il marchese.

— Grazie, voscenza. Ho lasciato l’asino al mulino; vo’ a riprenderlo, con la farina.

Titta si era voltato per convincersi se il padrone avesse parlato sul serio invitando compare Santi a montare in serpe, tanto gli era parso straordinaria la cosa; ma la sua curiosità rimase insoddisfatta. Il marchese gli accennò con la mano di tirar via, e le mule si rimisero al trotto al primo schiocco di frusta.

Lungo la ripida salita, Titta avea risparmiato le povere bestie. Alla svoltata della Cappelletta però, da dove lo stradone comincia a salire dolcemente, egli faceva riprendere il trotto; e pel movimento a sbalzi, i sonagli delle testiere squillavano all’ombra degli ulivi e dei mandorli che sporgevano dietro i ciglioni le chiome grige e verdognole tra cui stridevano alcune cicale ritardatarie, illuse forse dal persistente caldo che l’estate durasse ancora.

— Che c’è? — domandò il marchese all’improvviso arrestarsi della carrozza.