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il mistero del poeta 107

Napoli, la seconda da Roma. La scongiuravo, s’era vicina a me, di rivelarsi. Nella seconda le indicavo pure la pietra di Shelley per luogo di convegno. Per designare il giorno avevo calcolato largamente il tempo necessario alle lettere per andare a Norimberga e tornare. Stetti nel Camposanto quattr’ore ad ascoltare il silenzio mortale, a vedere ondeggiare nel vento le rose banksiane sulla torre in rovina dietro Shelley, a leggere e rileggere:


Nothing of him that doth fade
But doth suffer a sea-change
Into something rich and strange.


Immaginai che i versi arcani incisi sulla tomba del poeta parlassero del mio amore. «Fiorirebbe solamente chi sa con quale splendore strano, nel mondo promesso cui occhio mortale non vide». Come non mi bastava una così lontana, incerta speranza, con che disperata passione abbracciavo in mente la donna mia, la sposa mia viva, palpitante di questa vita che muore, la difendevo, stringendola sul mio petto, contro l’i-