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coppa, e io ne fui chiamata bestia. Alla quale con fellone animo rispose: Toglimiti dinanzi pazza prosuntuosa, se non vuoi ricevere la mala ventura, che pare che oltre il danno per tua bestiaggine causato, mi vogli uccellare. La donna confusa rimasta, tutta timida disse: Missere, io non motteggio; e narratagli la seconda beffa ricevuta, misser Floriano in tanta fantasia e dolore ne cadde che fu vicino a impazzirne; e più tempi faticato con sottili e diverse inquisitioni per trovare gl’ingannatori, e di quelli niente mai sapendone, per lungo spatio in odio e mala vita con la moglie dimoroe. E cosi i romani del fatto inganno godendosi lasciarono il dottore con beffe e dolore e danno.
MASUCCIO.
Non si potrà negare che, ancor che agl’ingannatori de la raccontata novella riuscisse e l’uno e l’altro tratto adoperati, che non fossero le dette beffe di grandissima temerità e pericoli piene. E come che comunemente si suol dire che tra le gran risa sono li molti guadagni, pur sogliono alle fiate delle volpi incappare, a ad un tratto pagare i danni e gl’interessi. Però io laudaria questi tali artisti che per piccolo guadagno non ponessero la loro vita per capitale, anzi prendessero esempio dai fratocci di Santo Antonio, i quali nel loro andare in corso non pongono in sul tavolieri altro che parole, de le quali traggono tanto profitto che de continuo salvi e sicuri e colmi insino agli occhi se ne ritornano a le case loro, come la prossima seguente novella ne renderà aperto testimonio.