Pagina:Il Novellino di Masuccio Salernitano.djvu/36

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E però il libro ha una certa aria signorile: non loda se non il nobile, e tutto ciò che a nobiltà si appartiene; e se rappresenta il popolo lo fa per dare uno spettacolo grato ai signori; onde vi accorgete che è scritto al tempo dei potenti baroni. Lo scrittoio ha cura di dirsi nobele Salernitano. E anche la lingua è nobile, mista di alcune parole e modi di dialetto, ma senza goffaggini e storpiature plebee; è la stessa lingua che parlavano e scrivevano Re Ferrante, Antonello Petrucci e Giovanni Pontano suoi segretari, e che si legge nel Codice Aragonese, è la stessa lingua che scriveva Francesco de Tuppo, che tradusse l’Esopo; è la stessa lingua un poco più forbita che scrisse il Sannazaro trent’anni dopo; è la stessa lingua tinta di dialetto che anche oggi si parla fra noi da le persone civili. E se volete riconoscer bene quest’aria di nobiltà, ricordatevi che allora v’erano signori e plebe, e questa è la lingua dei signori: un secolo dopo quando i signori diventarono volgo, si prese ad esempio la plebe, e nel Seicento i poeti napoletani, come lo Sgruttendio, ritrassero la plebe imbestiata e riuscirono ad una laidezza fastidiosa.

Masuccio non fu un erudito, però scrive in lingua materna mentre tutti scrivono in latino, mentre in latino scriveva Girolamo Morlino ottanta novelle e venti favole, e Poggio Bracciolini le sue Facezie. Egli non fa pompa di storia antica, nè di mitologia, nè di alcuna maniera di erudizione, e parla così alla buona: ma vivendo egli nel secolo dei latinisti, certi