Pagina:Il Novellino di Masuccio Salernitano.djvu/382

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garzone: Sta attento, e quando io sputo e tu leggiero te ne vieni a me con questa verga. E ciò detto si ritornò a tenere in trame dell’entrare, e da una parola a un’altra il fabro disse, Baciatemi un’altra volta. Il frate che era più presto a tale volgimento che una scimia, subito gli porge la solita voragine: Mauro dato il segno, al suo garzone, prestissimo gli presentò il focante ferro, il quale recatosi in mano, e preso tempo, gli donò una stoccata presso vallescura che ve lo pose quasi un palmo dentro. Il frate sentendo la fiera percossa fu costretto a buttare un grido che toccò il cielo, e mugliando di continue come un toro ferito1. Tutti i vicini destatisi con lumi in mano si faceano per le finestre, e ognuno dimandava di tale novità la cagione. Il dolente genoese che era in maniera assiderato che poco più gli bisognava stare che convertito in giazzo2 ivi si averiano i suoi giorni terminati, udendo tale rumore, e vedendo tanti lumi per la contrada, e già appressare l’alba, per non essere quivi trovato a modo di ladro posto in vergogna, preso per ultimo partito di buttarsi giù; e pigliato core, e raccomandandosi a Dio così fece. E gli fu la fortuna cosi favorevole che al percotere in terra trovò una pietra sopra la quale dato il piede e voltatosi in maniera che si fraccò una gamba in più pezzi; il quale dal fiero dolore oppresso non meno che il frate fu costretto al gridare fortissimo i suoi oimai. Il fabro correndo al rumore, e trovato e cognosciuto il Genoese, e vista la cagione del suo gridare, alquanto pietoso divenuto, con aiuto del suo garzone con diffi-

  1. dice fiero.
  2. ghiaccio.