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60 emilio salgari

Marciavano da un’ora, lottando ostinatamente contro le piante, quando il pilota s’arrestò bruscamente, dicendo:

— Fermi tutti.

— I dayachi? — chiese sottovoce Yanez, che lo aveva subito raggiunto.

— Non lo so, signore.

— Hai udito qualche cosa?

— Dei rami scricchiolare dinanzi a noi.

— Andiamo a vedere, Tangusa, e voi tutti rimanete qui e non fate fuoco se io non vi do il segnale.

Si gettò a terra trovandosi dinanzi a un caos di radici e di sarmenti e si mise a strisciare verso il luogo dove il malese asseriva d’aver udito i rami scricchiolare.

Il meticcio gli si era messo dietro cercando di non far rumore.

Percorsero così una cinquantina di metri e s’arrestarono sotto le enormi corolle d’un fiore mostruoso, un crubul che aveva una circonferenza di oltre tre metri, e che tramandava un odore poco piacevole.

Essendovi intorno a quel fiore un po’ di spazio libero, era facile scoprire degli uomini che si avanzassero attraverso la foresta.

— Padada non si era ingannato — disse Yanez, dopo essere rimasto qualche po’ in ascolto.

— Sì, qualcuno si avvicina — confermò il meticcio.

— E questo cos’è? — chiese a un tratto Yanez.

In lontananza si udì in quel momento un rombo strano che pareva prodotto dall’avanzarsi di qualche furgone o d’un treno ferroviario.

— Non è il tuono — disse il portoghese.

— Non lampeggia ancora — disse Tangusa.

— Si direbbe che un fiume ha rotto gli argini e straripi.

— Non è caduta ancora una goccia d’acqua e poi il Kabatuan è lontano.

— Che cosa sarà?

— E si approssima rapidamente, signore.

— Verso di noi?

— Sì.

— Taci!

Appoggiò un orecchio al suolo ed ascoltò nuovamente, trattenendo il respiro.

La terra trasmetteva nettamente quel rombo inesplicabile che pareva prodotto dal rapido avanzarsi di masse enormi.