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106 capitolo terzo

nosciuto o no il suo discepolo, che a ogni modo egli aveva già espresso a Benedetto il proposito di allontanarlo; ma impose silenzio a questo inutile sfogo di amor proprio, e prese, ginocchioni, congedo.


Ritolto il lanternino che aveva lasciato nel corridoio, non entrò nella sua cella. Percorse lento lento il corridoio sino al fondo, scese lento lento, non senza qualche sosta, per una scaletta a chiocciola, nell’altro corridoio strettissimo che mette al Capitolo. Il pensiero del diletto discepolo orante nella notte sul monte, l’aspettazione delle risoluzioni che prenderebbe dopo avere comunicato con Dio, le coperte ostilità dei fratelli, i cipigli e i dubbî dell’Abate, il timore ch’egli ponesse Benedetto nella necessità di scegliere fra i voti monastici e il bando dal convento, gli accumulavano sul cuore un peso spossante. Il fervore mistico di Benedetto, quella sua grande inconscia umiltà, i suoi progressi nella intelligenza della Fede giusta le idee che originavano dal signor Giovanni, certi lumi nuovi che gli scaturivano, conversando, dal pensiero, la forza crescente del mutuo affetto, gli avevano fatto concepire speranze di una prossima rivelazione, in quel naufrago del mondo, della Divina Grazia, della Divina Verità, della Divina Potenza, per il bene delle anime. Lo avevano detto,