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notte di tempeste 107

alla riunione di casa Selva: ci vorrebbe un Santo. Lo aveva detto per il primo quell’abate svizzero. Secondo altri era desiderabile un Santo laico. E questo era pure il suo pensiero, e gli pareva provvidenziale che a Benedetto ripugnasse la vita monastica. Quasi quasi gli parve provvidenziale anche la venuta della signora, che lo costringeva a lasciare il convento. Ma che gli succedeva ora sul monte? Che gli diceva Iddio nel cuore? E se…

Questo balenare di un se nuovo, inatteso, formidabile, arrestò il meditabondo nel suo lento cammino. «Magister adest et vocat te.» Forse lo stesso Maestro Divino chiamava Benedetto a servirgli sotto le vesti del monaco.

Egli cessò, sbigottito, di pensare, e dal Capitolo, posato il lanternino, entrò nella chiesa, mosse diritto alla cappella del Sacramento. Con quella dignità che nessuna tempesta interna poteva togliere alle movenze signorili della persona, alla pura bellezza del viso, si compose sull’inginocchiatoio nel mezzo della cappella, fra le quattro colonne, sotto la lampada; e alzò gli occhi al Tabernacolo.

Il Maestro della Via, della Verità e della Vita, il Diletto dell’anima, era là e dormiva come la procellosa notte sul mare di Genezareth, fra Gadara e la Galilea, nella barca che altre barche travagliate dai flutti seguivano per le tenebre sonore. Era là e pregava come un’altra notte, solo,