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226 capitolo quinto


L’infermo riprese a gemere. Maria Selva disse sotto voce a Benedetto:

«Il medico è a Subiaco. Il signor Selva, che Lei forse conosce, è andato alla farmacia. Io sono sua moglie.»

In quel punto rientrò Giovanni, ansante, afflitto. La farmacia era chiusa, il farmacista assente. L’arciprete gli aveva dato del marsala. Dei signori venuti da Roma con gran provvigioni gli avevano dato del cognac e del caffè. Benedetto chiamò a sè con un cenno don Clemente, gli disse all’orecchio che facesse venire l’arciprete; quell’uomo stava morendo. Avrebbe potuto andar egli a chiamarlo ma gli pareva duro per la povera madre di allontanarsi. Don Clemente uscì senza far motto. A pochi passi dalla casupola, la compagnia elegante venuta da Roma per curiosità del Santo di Jenne, tre signore e quattro signori, guidata da quel signore di Jenne che s’era incontrato con i Selva sulla costa, si stava consultando. Veduto il benedettino, si parlarono sottovoce rapidamente e uno di loro, un giovinotto elegantissimo, incastratasi nell’occhio la caramella, avanzò verso don Clemente che era guardato dalle signore con ammirazione, con rammarico che il Santo, come avevano udito dalla loro guida, non fosse lui.

Anche costoro desideravano un colloquio con Benedetto. Lo desideravano specialmente le signore.