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446 capitolo nono

chiusa nell’ossequio della Divina Volontà; ma non aveva potuto svellerne la radice.

Tese dunque le braccia, riconoscente, al professore. Ma subito fu preso da uno scrupolo. La sua intelligenza e il suo sentimento cristiano si trovarono in contraddizione. Sapeva di essere sgradito alla signora che aveva sposato il figlio del professore, ufficiale di marina, allora in Oriente; capiva che ritornando a villa Mayda sarebbe stato causa di dispiacere a lei e perciò di dissapori con il suocero. Ma come ora dirlo senz’accusare di poca giustizia e di poca carità una persona che appunto per essergli nemica egli doveva particolarmente amare? Pregò il professore di lasciarlo andare a Sant’Onofrio. La mutazione fu così repentina che Mayda ne meravigliò, pensò un momento, capì, gli disse aggrottando le ciglia:

«Volete che io non perdoni mai più qualche cosa a qualcuno?»

Benedetto non si oppose più. Soltanto quando a notte venne il momento di scendere alla carrozza ed egli si sentì incapace di reggersi, sorrise, disse al professore posandogli la mano sul braccio:

«Lei sa che a questo modo domani o posdomani avrà un morto in casa?»

Il professore rispose che con lui non mentiva, che questo era possibile, ma non certo.

«Lei sa» rispose Benedetto, non più sorridente, «che prima vi avrà…»