Pagina:Il Sofista e l'Uomo politico.djvu/102

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Autenticità e cronologia. 91

[Dionisio] o qualche altro: perocchè sento che poi alcuni di voi li avete raffazzonati: ma sarà però evidente la parte di ciascuno, per quelli che sanno discernere il mio modo di fare„. Ora io non credo che si possa col Blass inferire che, se Platone aveva scritto i proemi, anche le leggi dovesse proprio scriverle lui. Egli anche nei proemi non era che un collaboratore, tutt’al più un relatore, tant’è vero che gli altri glieli alteravano; e se mettean becco nei proemi, tanto più nelle leggi vere e proprie: o che il re non era Dionisio? Ma poniamo pure che Platone abbia elaborato anche un progetto di leggi: se ciò fece, è naturale che lo abbia anche trascritto o fatto trascrivere: o che passò egli le tavole cerate al tiranno? A ogni modo se queste leggi dovevano effettivamente servire e applicarsi, sarebbe stata per lo meno una grande stramberia, ch’egli le avesse presentate nella forma di dialogo che ci fu trasmessa. Mi pare perciò che la ipotesi più semplice e più probabile sia sempre questa, che cadute le speranze di un principe filosofo, ciò che era stato pensato per la pratica sia stato dall’autore rifuso più tardi, a mente riposata, in opera teorica, rifuso, non semplicemente emendato, come prova la redazione trovata sulla cera: nè con questo si nega che nella rifusione si possa segnalare forse qualche distacco. Ciò che il Blass aggiunge a proposito di quel luogo singolare del libro VII, p. 811 C E, dove i discorsi tenuti da principio fino allora, e quelli che si prevede dover tenere fino alla fine, vengono rappresentati come un utile libro scolastico da consigliarsi per i giovani, e si soggiunge che perciò è opportuno che chi a discorsi tali o simili si trova presente abbia a metterli in iscritto, tutto ciò mi pare che faccia non a favore, ma contro la sua ipotesi. Se il libro era finito intorno al 360 e se doveva avere questo scopo, non si capirebbe perchè Platone non lo abbia pubblicato. Ebbene, dice il. Blass, lo pubblicò: lo diede appunto a copiare a Filippo d’Opunte, e Filippo lo copiò ancora lui vivo; egli non fece altro che risparmiare al maestro questa fatica. Gli è che le parole di