Pagina:Il Vendemmiatore e La Priapea.djvu/182

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174 LETTERE

i miei meriti, l’udirvi dire che il vizio debba restar oppresso dalla mia penna, perocchè essendo io nato nel più vizioso secolo che mai fusse, troppo gran gloria ne otterrei, e però l’averlo voi detto, mi si da a credere che più tosto, intravenga perche m’amiate, che perche io meriti sì fatta lode. E però se più adagiatamente vedeste quel ch’io mi scrivo, vi parrei senza dubbio assai manco di quel che pajo. La novità delle ciancie delle quali i miei orti son sempre fertili, e quella alle volte che col consonare alle orecchie, i lettori non pare che leggano, ma più tosto odano co i loro occhi; onde sodisfacendosi al senso, che poco giudica nella fretta, non si sodisfà all’occhio che vede più; e però non merito lode alcuna, e massime in un’opera, dove a pena mi ricordo aver respirato in scrivere più di due volte. Parmi solamente di non meritare ch’io sia biasimato, poichè tralle tempeste delle fortune mostro di fare assai, se tutti quasi i miei parti si concepiscano nelle miserie, e si partoriscano nel disagio. Gran cosa a dire che ciò che mai scrissi, dove ebbe il principio non ebbe il fine. Scrivono gli altri nella quiete, negli agi, e ne’ piaceri, ed io ne’ travagli ne’ disagi, e ne’ mali. Non tengo per mia nimica la tristizia degli Aretini, perche gli scherni ch’io ne mostro ne fanno fede. Ho la fortuna per mia nimica, ed avendola, io stesso stupisco come sia possibile che schermendomi da tanti suoi colpi abbia pur tempo di tor la penna. Ecco i dieci libri della mia