Pagina:Il buon cuore - Anno IX, n. 06 - 5 febbraio 1910.pdf/3

Da Wikisource.

IL BUON CUORE 43


suoi sinodi diocesani e provinciali, che divennero il codice pratico del governo di tutte le diocesi cattoliche del mondo, ancora pieni di attualità dopo tre secoli che furono scritti.

Quel braccio? Rappresenta tutte le opere d’azione di S. Carlo, quel braccio che compì vigorosamente la riforma degli uomini e dei costumi, quel braccio che vinse la riottosità di religiosi degenerati, l’assalto degli eretici, le prepotenze dei governatori che rappresenta. vano la grande Spagna.... Alto là, egli diceva, quando si offendevano i diritti della Chiesa; alto là, e la prepotenza era vinta.

Quella testa? Rappresenta tutto il suo complesso delle sue idee, quel guardo intellettuale, alto, largo, col quale Carlo vedeva tutta la Chiesa e la Società nei loro rapporti, discerneva quali fossero i punti che più importava combattere, quali fossero le iniziative che più importasse prendere, per frenare l’opera del male, per ridestare le iniziative del bene....

Il suo cuore, non si vedeva. era al di dentro, era al posto dove noi ci eravamo trovati salendo, ma quel cuore qual parte grande occupava nella vita operosa e caritatevole di Carlo, la sua generosità coi poveri, la sua carità cogli appestati, quel cuore, che nel punto in cui tutte le autorità civili impaurite erano fuggite, lo portò a sostituirsi ad esse, ed esser pel popolo milanese, il padre, il buon pastore che dà la vita per le sue pecorelle.

Con tutto quello che Carlo ha fatto egli è divenuto l’onore deira sua famiglia, del suo Lago Maggiore, di Milano, dell’Italia, della Chiesa; è qui un altro magnifico squarcio di eloquenza nello sviluppo di tutte queste singoli parti.

La statua di S. Carlo è grande, aggiunse poi l’oratore; ma non basta osservarla, inchinarsi dinnanzi ad essa; bisogna dall’ammirazione passare all’imitazione.

Un giovine romano vide un giorno la statua di Alessandro il Grande; la guardò, e pensando a quanto di grande aveva fatto Alessandro, fece un proposito: anch’io voglio essere grande come Alessandro. E tenne la parola. Quel giovane era Giulio Cesare.

Così dovete far voi guardando San Carlo: dovete dire: anch’io voglio imitare, anch’io voglio essere grande come lui.

C’è qui qualcuno in mezzo di noi che ha fatto questo proposito. Sapete chi è? Sua Eminenza il vostro Cardinale Arvivescovo. Quando qui venne Arcivescovo, nella Diocesi di Carlo, aveva nome Andrea Ferrari. Disse: voglio imitare San Carlo; e si chiamò: Andrea Carlo Ferrari. Se egli abbia mantenuto il suo proposito lo potete dir voi, o Milanesi....

A questa uscita inaspettata e felice, si può immaginare come il pubblico sorgesse come un sol uomo, e con uno scatto unanime prorompesse in una doppia salve di applausi, all’indirizzo di Sua Eminenza l’Arcivescovo, che, confuso e sorridente, s’era levato a ringraziare.

Eravamo oramai al termine della Conferenza. L’Oratore conchiuse invitando tutti ad ascoltare le Conferenze che intorno a San Carlo distinti oratori terranno presto nel salone dell’Arcivescovado. Essi vi faranno conoscere, egli disse, in modo dettagliato, il di dentro di S. Carlo, facilitandovi la sua imitazione.

Ma i giovani del Circolo di Coltura, che hanno organizzate queste manifestazioni di onore a San Carlo, hanno bisogno di mezzi per attuarle: ajutateli: l’appello per aiutare le opere buone non è mai fatto indarno ai milanesi.

Gli applausi generali, vivissimi, e continuati, fecero comprendere a mons. Scapardini quanto fossero tornate gradite le sue parole.

A compiere il programma non mancava più che una parola di chiusa da parte dell’Arcivescovo. Questa parola venne, e fu semplice, famigliare.

Noi siamo qui, egli disse, ad onorare S. Carlo; San Carlo grande principalmente perchè fu santo. I santi fanno i miracoli, e S. Carlo ne ha fatto anche in questi giorni; ne ha fatto uno anche questa sera.

Io avevo invitato i tre eccellentissimi Vescovi a fare le Missioni: era sicuro che mi dicessero di sì; invece chi per una ragione, chi per un’altra, tutti mi risposero di no. Quella sera andai a letto di mala voglia. Non c’è che San Carlo che mi possa liberare dall’imbroglio: mi raccomandai a San Carlo, e tornai a riscrivere. Li prego a venire non per me, ma per San Carlo; è San Carlo che li prega. — Che volete? San Carlo mutò il i iliuto in consenso. E il consenso di uno dei tre Vescovi, non era facile: non dipendeva da lui; dipendeva dal Papa. Il Vescovo doveva andare dal Papa in questi giorni: il convegno era già fissato: come si fa a mancar di parola al Papa? Io scrivo al Papa; espongo il mio bisogno, pregando che concedesse al Vescovo di differire la sua venuta a Roma: Santo Padre, scrivo, chiedo questa grazia, non in mio nome, ma in nome di S. Carlo. — Che cosa risponde il Papa? Non è nelle consuetudini dare simili permessi: ma la grazia è chiesta in nome di S. Carlo: come si fa a dir di no a S. Carlo nel centenario della sua canonizzazione?

E i tre Vescovi son qui. Non ho ragione di dire che San Carlo fa ancor dei miracoli? E l’ultimo qui, questa sera. Monsignor Scapardini non voleva far la Conferenza; l’ha ripetuto più volte in questi giorni, l’ha ripetuto in carrozza nel venir qui; l’ha ripetuto qui... e avete sentito che cosa ha fatto? Altro che una conferenza!... Chi ha prodotto il mutamento? Permettete che lo creda, San Carlo.

Una cosa sola io devo rilevare. Con forma graziosa, gentile, se volete, egli mi ha lodato; ma in fondo egli mi ha ricordato Un dovere, il dovere che io ho di imitare San Carlo. Prego tutti voi perchè colle vostre preghiere mi aiutiate a non venir meno a questa imitazione.

Il modo delicato, industrioso, e pur sincero, col quale l’Arcivescovo aveva saputo volgere una lode pel dovere compiuto, in un avvertimento del dovere da compiersi, impressionò tutto l’uditorio, e un applauso, che assunse la forma di vera ovazione, coronò le parole di Sua Eminenza.

La sua benedizione a tutti pose fine alla bella e importante accademia. Era durata più di due ore, senza che nessuno provasse segno di stanchezza.

Il giorno dopo monsignor Cazzani teneva nella chiesa di S. Maria Segreta, ai Cooperatori Salesiani, un discorso su Don Giovanni Bosco, presentato come uomo provvidenziale nell’epoca contemporanea. Vorremmo poter dare un riassunto di quel discorso. Esso tornerebbe opportunissimo complemento ai discorsi delle Missioni. Nelle Missioni si ricordò quello che un cristiano deve credere e operare, per rispondere alla sua vocazione; in Don Giovanni Bosco si sarebbe presentato quanto in adempimento di questo programma egli ha fatto: nelle Missioni fu esposta la teoria, in Don Giovanni Bosco si trova la pratica. Ma l’articolo è già troppo lungo così com’è. Rimandiamo quel riassunto al numero venturo.

Chiudiamo col dire che le passate Missioni ci hanno lasciato la più grata impressione, e una speranza indefinita di bene per l’avvenire.

Il grande concorso di popolo ci è piaciuto non solo come fatto, lodevole in sè, ma più come sintomo di una nuova orientazione che vanno prendendo gli spiriti. Il fatto religioso richiama ancora l’interesse del pubblico, malgrado la guerra aperta usata per denigrarlo, per seppellirlo. Abbiamo veduta l’idea religiosa presentata con una franchezza inusitata, con una grande