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222 IL BUON CUORE


o comunque molto compromettendole, ci fu subito la contessa Flavia la quale, per tutto quell’orribile dicembre non lasciò mai la sua cameretta. Però non mancava per questo sequestro di informarsi delle cose spettanti a suo figlio e dell’imminente lieto evento; solo rimpiangendo di non poter a quando a quando recarsi di persona alla casa di lui.

E il lieto evento ebbe luogo al tocco del venticinque di quel dicembre; e il più vezzoso bambinello, un adorabile maschietto, veniva a rallegrare quel giorno memorando fra tutti e quella casa già tanto benedetta dal cielo.

Il daffare, l’animazione, il vai e vieni di parenti in quella mattinata fu straordinario; Carola venutavi per notizie e a portare gli augurii di mamma e suoi, apprendeva con un giubilo che non conobbe più limiti il grande avvenimento e correva a darne parte alla contessa e a suo padre; e come tutto fosse proceduto nel migliore dei modi, e la puerpera e il bimbo stessero benissimo, e come in giornata si sarebbe fatto il battesimo, malgrado l’uso contrario di molte famiglie. Già, la letizia di tanto giorno doveva essere completa; e per due persone così profondamente religiose come Mario e Silvia, la gioia non sarebbe stata piena se nel giorno che più parlava di sopranaturale tenessero presso di sè non rigenerato ancora alla vita sopranaturale il loro figlio.

Vi fu pertanto un nudrito scambio di intese fra la contessa Florio e Mario anche su questo punto, nonchè sul modo di portare ad ogni costo alla contessa il neonato, smaniosissima come era di vederlo e baciarlo.

Ma... ma c’era una difficoltà e la più ardua da vincere. Come varcare quella soglia vietata, come sopprimere una esclusione rispettata da circa un anno, come ardire di incontrarsi coll’architetto Eugenio Fiori dopo la rottura così categorica dei primi rapporti?

La contessa pensò, provvide a tutto. Di ritorno dal Battesimo, fissato appunto per le undici, il corteo sarebbe passato da lei recandole il neonato da vedere; in quell’ora l’architetto sarebbe stato certamente assente da casa, avendo affari che l’avrebbero trattenuto presso un suo collega fino al tocco.

E puntualmente alle undici — sfidando un tempo orrido, un imperversare di neve e raffiche che agghiacciavano — si andò a S. Satiro per la solenne celebrazione del Battesimo del bimbo di Mario e Silvia, madrina e padrino Carola e il padre di Silvia, imponendo al battezzato i nomi di Eugenio e Carlo. Quindi, secondo le parole corse, tutti salirono all’appartamento della contessa Flavia, tutto profumato di fiori freschi, e tutto corso da miti tepori, che spandevansi dai caloriferi accesi, a rianimare le membra intirizzite dal freddo. La Contessa godè un mondo nel fissare i suoi sguardo sul più leggiadro bimbo che mai avesse veduto e non rifiniva di baciarlo appassionatamente, intensamente, stringendolo forte contro il tepido seno in una voluttà da mangiarselo d’amore.

Si era fra queste schiette e calde manifestazioni e in un cicaleggio animatissimo, quando un trillo del campanello della porta e, subito dopo, la comparsa del domestico un po’ sconcertato fecero arrestare tanta festa e allibire. L’architetto, avendo esaurite prima del tempo calcolato le sue facende, era già di ritorno. La contessa ebbe per tutti il sangue freddo necessario in quell’ora imbarazzante; ordinò al servo di dire al nuovo arrivato che lo desiderava subito nella sua camera a partecipare delle gioie d’una visita inaspettata. E l’architetto, ignaro di tutto, si fa innanzi colla solita disinvoltura bonaria. Quando, appena spalancata la porta della camera da letto, il quadro di tanta gente, come interdetta e confusa, e un bimbo che due braccia di giovane signora reggevano tremanti in mezzo ad uno spumeggiar fresco di candidi merletti e trine, gli si apre innanzi allo

sguardo attonito. Gli pare di ingannarsi, o che la vista gli faccia un brutto scherzo, e guarda trasognato....

La contessa spiega al marito di che cosa si tratti. L’architetto, seccato visibilmente, mostra tutta la volontà di ribellarsi a quella imposizione, a quell’arbitrio; la fronte si corruga, il viso ha delle contrazioni di amarezza e foriere d’uno scoppio di ira. Intanto nel silenzio forzato di quella imbarazzante situazione giungevano le note dell’organo e le ripercussioni smorzate dal canto d’un mottetto che si eseguiva nella Chiesa di S. Satiro “Gloria a Dio ne’ Cieli e pace in terra agli uomini di ben volere. Oggi ci è nato un parvolo, ci fu largito un figlio„. Si fece innanzi Mario come il più colpevole e responsabile di quella violazione di domicilio, scusandosi che non sarebbe venuto se non fosse stato per sua madre. Che comunque, da un anno faceva penitenza del suo peccato, del torto che gli aveva recato; che in quel giorno di pace per tutti gli uomini di buona volontà, che innanzi a quell’angelo che era pur sempre il figlio di suo figlio, che portava il suo nome, confidava vedersi levato il duro bando e restituito il bacio paterno.

L’architetto Flori si sentì vinto ornai; e non reggendo più alla irresistibile emozione che l’avea preso, chinatosi sul bambinello che roseo, vispo gli sorrideva di mezzo al candore di soffici merletti in cui era come affondato, lo strinse fra le braccia, lo baciò e ribaciò, baciò anche Mario.... la pace era fatta.

Anzi quel giorno dovea venir chiuso condegnamente. Per istanze della contessa che volontieri sarebbe rimasta a casa sola con una domestica, l’architetto e Carola passarono a far Natale e a condecorare il pranzo del battesimo in casa di Mario. Là un’altra pace con Silvia e coi parenti di lei; là le più cordiali espansioni, l’inaugurazione di giorni più lieti, là il cominciamento d’un pellegrinaggio quotidiano per rivedere il piccolo Eugenio Carlo, l’angelo della pace, senza del quale il fiero architetto non poteva più stare un sol giorno....

Augusta Maxell— Hutton

Religione


Vangelo della domenica ottava dopo Pentecoste


Testo del Vangelo.


In quel tempo andavano accostandosi a Gesù dei pubblicani e dei peccatori per udirlo. E i Farisei e gli Scribi ne mormoravano dicendo: Costui si addomestica coi peccatori, e mangia con essi. Ed egli propose loro questa parabola, e disse: Chi è tra di voi che avendo cento pecore, e avendone smarrita una, non lasci nel deserto le altre novantanove, e non vada a cercare quella che si è smarrita, fino a tanto che la trovi? E trovatala se la pone sulle spalle allegramente e tornato a casa chiama gli amici e i vicini dicendo loro: Rallegratevi meco, perchè ho trovato la mia pecorella che si è smarrita? Vi dico, che nello stesso modo si farà più festa in cielo per un peccatore che fa penitenza che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza. Ovvero qual’è quella donna, la quale avendo dieci dramme, perdutane una, non accenda la lucerna e non iscopi la casa, e non cerchi diligentemente fino a che l’abbia trovata? E trovatala, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi meco, perchè ho trovata la dramma perduta. Così vi dico, faranno festa gli angeli di Dio per un peccatore che faccia penitenza.

S, LUCA, Cap. 14.