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68 IL BUON CUORE


riuscita a far cambiare di parere quel caro orsacchiotto di mio marito! Prima di dare la risposta definitiva alla mia cognatina — è lei che mi ha indotta in tentazione — ho voluto venire da te, nonnetta bella!» «E sei proprio tu, Laura, che desideri di andare al Veglione?» «Sì, proprio io, Don Pietro. Che male c’è?» e la voce musicale era, adesso, guastata da una inflessione insolita,.... un non so che fra l’aggressivo ed il ribelle. «Ecco, di male, proprio di gran male, non ci sarebbe nulla; ma è un desiderio così strano in te, mia figliola.» «O che non c’è stato mai, lei, al Veglione?» E il fresco visino capriccioso si era rivolto al vecchio prete, con una piccola aria di sfida.» «Veramente, non ho esperienza personale in proposito; ma, viceversa, conosco te da un pezzo: e sono sicurissimo che non ti divertirai.» Donna Clara, molto indulgente, molto prudente, trovava, dentro di sè, che Don Pietro mancava, per lo meno, di tatto: e, per evitare una schermaglietta ad armi corte (era così battagliera, così gelosa della propria indipendenza, la sua piccina!) si mise a parlare, con disinvoltura voluta del più e del meno: ma la giovane sposa era diventata nervosa e non rispondeva più a tono: anzi si alzò di scatto, e prese bruscamente congedo, un po’ in collera con Don Pietro, che s’era permesso di darle un consiglio non richiesto: ecco, un consiglio, nel senso stretto della parola non si poteva dire: ....era qualcosa di peggio, forse.... Gran mania hanno certuni di ficcare il naso nelle faccende altrui! Dopo tutto, che cosa importava a lei, il parere di Don Pietro? Niente. Tanto è vero che il: «Da mia cognata» detto al cocchiere, mentre saliva in carrozza, aveva un suono insolitamente duro ed imperioso; come se, questa, fosse la risposta pratica alla osservazione di poco prima.

La giornata era bellissima: la signora Laura abbassò un vetro, e si mise a guardare, macchinalmente, nelle vie: alcune maschere, rumorose e grottesche, sulle quali aveva posato gli occhi, l’avevano disgustata per la loro volgarità; subito, e senza volerlo, corse col pensiero alla festa cui intendeva intervenire l’indomani: ed ebbe come il vago presentimento di volgarità, infinitamente più sguaiate, che l’avrebbero forse ferita alla Scala, dopo cena. Che importava? Non sarebbe scesa in Platea: sarebbe rimasta, quieta e tranquilla, nel suo palco, ad osservare.

La carrozza, adesso, passava da San...., la chiesa ove, abitualmente, faceva la sua visita giornaliera la signora Laura, quando andava dalla cognata. Il cocchiere si fermò, come di consueto; sebbene la signora, quel giorno non pensasse proprio alla chiesa. Entrò, molto annoiata, molto distratta, assai meravigliata di trovare tanta gente e, sull’altare — fra una gloria di lumi — esposta l’Ostia Santa: domandò allo scaccino, che le aveva portato le sedie, che festa si celebrasse; e si sentì rispondere che si trattava di un Triduo di riparazione per gli ultimi giorni di carnevale, e che, a momenti, ci sarebbe stata la predica.... Come poi, la signora Laura, si fosse decisa a rimanere, non lo avrebbe potuto ridire neppure lei stessa!

Il tempio — uno dei più noti e dei più frequentati
della città — colla sua penombra mistica, incominciava ad esercitare l’ufficio di calmante, sopra i sentimenti, un pochino eccitati, della giovane signora, di solito assai poco mondana per natura: l’anima sua, cristiana nel profondo, era obbligata, ora, a riflettere su quel riparazione, dettole, con indifferenza, dall’inserviente della chiesa.... Ed era ancora raccolta nell’intima meditazione, che si andava gradatamente trasformando in un inconscio e tacito aspirare verso il prendere una risoluzione degna dell’ora e del luogo, quando fu scossa dalla voce del predicatore. L’istintivo senso musicale della signora Laura, rimase quasi offeso, a tutta prima, dal suono un po’ nasale, spesso stridulo che le perveniva dal pulpito; ma, in seguito, le fu impossibile non sentirsi come trascinata da parole, che non erano le solite condite di rettorica stantia, delle quali abusano, troppo spesso, certi oratori, specie nelle predicazioni di circostanza. Era un’anima unita a Dio, che di Dio e del suo amore parlava degnamente, quasi volesse trasfondere negli uditori i tesori di una esperienza interiore, la quale diventava luce, calore e vita: mai, mai, la giovane donna aveva udito prima parlare in tal modo del Mistero Eucaristico!.... E ora, come un monito ed un incoraggiamento, sentiva annunciare: «In questi ultimi giorni di Carnevale, non i cristiani ferventi ma molti cristiani, dimenticano Dio, la finalità della vita e sè stessi....» e le pareva che l’osservazione fosse rivolta a lei, proprio a lei individualmente. E, infatti, che razza di cristiana era stata finora, malgrado i suoi periodici atti di culto e i Sacramenti ricevuti? Quando mai aveva pensato che «fare la Comunione vuol dire andare a morire con Cristo?» A che cosa era morta, lei? A quale soddisfazione, sia pure fra le più lecite, aveva saputo rinunciare, per amore? E la voce, dall’alto, ammoniva ancora: «È una grande umiliazione, dimenticare la dignità umana, lasciare che predomini la parte di noi che dovrebbe ubbidire!... E quanti, in quest’epoca di dissipazione, si permettono ciò che, in altri tempi, provocherebbe il loro disgusto, colla scusa, tanto fallace, quanto comodissima, del semel in anno licet insanire!.... Per attestare, dunque, che non siamo del mondo, per reagire contro la seduzione dei sensi e delle cose esteriori, andiamo a Gesù, pane dei forti: andiamo a Lui, che ha il segreto di attrarre a sè i cuori, a Lui che ha parole di vita, ieri, oggi, e nei secoli!...»

Andiamo a Lui! — Come poteva l’anima, lealissima, della signora Laura, pensare ad una prossima Comunione, colla mente ancora ingombra dalle futili preoccupazioni del Veglione, della cena, del domino da scegliere per la circostanza?!... E, nell’ora solenne del rendiconto finale, a che le avrebbe giovato sapere precisamente ciò che si faccia ad un Veglione?

Il tempo scorreva rapido, senza che la bella, elegante signora inginocchiata se ne rendesse conto, così come accade sempre nelle ore decisive della vita: era troppo assorta in pensieri ed in dubbiezze, che dovevano assomigliare assai da vicino ad un’ardente preghiera, o, meglio, ad un grido supremo che l’anima emettesse, davanti al suo Dio, implorando forza ed aiuto.