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IL BUON CUORE


«Noi vogliamo seguir l’esempio vostro d’apostolato infaticabile.» Ringrazia i vescovi consacranti, il presidente dell’Associazione di soccorso ai missionari, le rappresentanze della sua Albino e di Bergamo, tutti; le odierne manifestazioni saranno sprone a lui ed ai compagni per un’opera intensa del servizio della Chiesa e della patria italiana.

Il Cardinale arcivescovo Ferrari prende occasione dal titolo episcopale di Agatopoli (città dei buoni) oggi stesso conferito al P. Camillo, per constatare come il vicario apostolico dell’Eritrea, avendo per punto di partenza due città dove i buoni sono in così grande numero: Bergamo e Milano — e l’elogio di Milano viene a Sua Eminenza dal cuore, con frasi veramente paterne — abbia per punto di arrivo una contrada dove merce l’opera sua e dei cappuccini i buoni si moltiplicheranno e dove i nomi inseparabili di cattolicismo e d’Italia saranno benedetti. Ringrazia per le commoventi testimonianze d’affetto: «Prego il Signore che tutti ricompensi per tanta carità e tutti benedico.»

Al loro uscire l’Eminentissimo e mons. Carrara sono fatti segno a nuove vive e generali dimostrazioni di plauso.

Nel pomeriggio in chiesa, P. Ezechia da Iseo parlo eloquentemente della Missione eritrea; la benedizione solenne coi Santissimo fu impartita dal Vicario Apostolico dell’Africa italiana.



Convegno nel Salone dei Ciechi


L’adunanza ebbe la caratteristica speciale dei convegni più culminanti, come quelli tenutisi per l’inizio della Missione nell’Eritrea, ispirati a schietto amor di patria e a santo amore della religione.

Ai posti d’onore sedevano i due vescovi dell’Ordine dei Cappuccini, mons. Tei e il primo Vicario Apostolico dell’Eritrea, mons. Carrara.

I ciechi diedero un magnifico saggio di musica istrumentale e vocale; poi monsignor Tei, levandosi nella sua maestosa figura di francescano operoso, parlò con efficacia della missione nell’Eritrea. Ricordò l’affidamento dato dal Papa, in nome del padre generale, in nome proprio, in nome degli ascoltatori. L’eloquente oratore francescano ricorda i suffragi del compianto padre Michele da Carbonara per i caduti sulle sabbie africane; accenna ai propositi pacifici del defunto padre Michele, ed evocando le ombre dei caduti sulle ambe della Eritrea, afferma che il sangue dei soldati uccisi dal ferro nemico metterà germi di civiltà, di progresso, di redenzione sociale e religiosa.

Si levò poi l’onorevole ing. cav. Cesare Nava, noto per accento vibrato e per facondia. Egli, mandato al nuovo prefetto dell’Eritrea il saluto augurale a nome di Milano, tocca delle sue doti elette di mente e di cuore, ne tratteggia l’indole equilibrata dell’animo umile, mite e pio; doti che gli meritarono i suffragi onde i confratelli suoi il chiamarono, sebbene in ancor giovane età, a uffici delicatissimi; nè tace delle importanti missioni
commessegli dal Sommo Pontefice e dal ministro generale dell’ordine suo. L’oratore rammenta il rapporto della difficile e delicata missione del Maranhao e ne mette in rilievo la umiltà, lo spirito di sagrificio come l’acume del giudizio e la prontezza dei provvedimenti. Lo commuovono, giustamente, i miracoli di carità, di redenzione religiosa, civile, sociale di cui furono oggetto i ragazzi della colonia di Sant’Antonio da Proto. E prosegue:

«Ebbene — eccellenza — Iddio appaga finalmente ogni vostro desiderio, ogni aspirazione vostra: ed apre davanti a voi, alla vostra attivita, al vostro sapere, alla vostra carità, alla vostra fede, un vastissimo campo di azione. Egli vi crea padre spirituale di una immensa regione, dove le differenze di stirpi, di credenze, di civiltà, opporranno — è vero — difficoltà gravissime alla efficacia del vostro lapostólato: ma dove voi, coll’aiuto di Dio, e colla serena energia vostra, saprete compiere molto e molto bene; conquistando nuove anime alla fede, nuovi figli alla civiltà e facendo rispettato, ma sopratutto amato, il nome di Italia.»

Accenna l’oratore rapidamente alle difficoltà della missione per l’esistenza nella colonia di tribù diverse per origine, per tradizioni, per costumi e sopratutto per religione. Quasi non bastasse, si oppone all’opera del missionario cattolico la propaganda protestante delle missioni svedesi.

A questo punto l’on. Nava, colla scorta di documenti stampati, cita un bel periodo dell’on. Ferdinando Martini, pur troppo dimenticato più tardi dal Martini medesimo:

«Penso — scriveva egli allora — il governo gioverebbe a sè e ad altri se, cogliendo la palla al balzo, pregasse i missionari protestanti che portano a spasso per l’Eritrea le loro barbe fluenti e i loro soprabiti attillati, di andarsene altrove. Già, la propaganda fatta tra gente che muore di fame, a furia di dura e di talleri, non so quanto giovi alla religione; certo è che offende il sentimento morale. Inoltre, questi signori che muovono dalle lande della Svezia e se ne vanno in Africa col solo fine di strappare dall’anima di un popolo il culto della Vergine, sola poesia che gli rimanga, credono, non v’ha dubbio, di fare opera santa, ma la fanno iniqua.

«È giusto riferire — egli scrive — quanto affermano gli Abissini medesimi, che, cioè, tra il missionario cattolico e il protestante corre grande divario. Il cattolico sta a sè, non cerca gli indigeni, attende che attratti dalla pietà delle opere o dalla esemplarità del costume, si rivolgano a lui: il protestante invece, irrequieto, con la speditezza pertinace e febbrile delle razze nordiche, s’imbuca nei più oscuri angoli delle capanne, s’inoltra pei reconditi penetrali delle famiglie e s’attacca e tormenta e assilla e non lascia. Noi, ai quali conviene essere su questo punto scrupolosi e guardinghi, largheggiammo fin qui con gli svedesi, regalando loro terreni per chiese e scuole.»

E largheggiammo — commenta l’on. Nava — nonostante che nelle loro scuole tutto si insegni, all’infuori della lingua italiana e della storia d’Italia.