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156 IL BUON CUORE


proverbio; e quando esso è commosso non vede, non vuol più veder nulla del tutto. È così in tutte le cose! Ed ecco che noi, dopo centinaia e centinaia di anni, comprendiamo che davvero fu sapiente disegno di provvidenza la morte di Cristo: che fu meglio per noi che egli se ne andasse!

Signore, se perfino il martirio di Gesù, la sua agonia dolorosa, la sua morte crudele fu una grazia per noi, Signore aiutaci a sentire che è il nostro meglio anche quello che ogni giorno, ogni ora accade intorno a noi... aiutaci a ringraziarti e a benedirti anche quando a noi, povere creature, non è possibile farlo che tra le lagrime!

Finchè Gesù viveva sulla terra il suo apostolato era limitato a un breve spazio, a poche persone: i suoi discepoli, e oseremmo noi biasimarli? se ne stavano stretti a Lui e non se ne staccavano: come staccarsi volontariamente da chi è la sorgente del bene, da chi ha le parole di vita eterna; da chi sa confortare e guidare traverso le miserie di quaggiù?

Anche noi, certo, ci saremmo stretti intorno a Gesù e, come Pietro e i suoi compagni gli avremmo detto: è buono starcene qui con te; rimaniamoci sempre!

Ma quella sublime e santa esultanza di pochi sarebbe stata la privazione della grazia per molti....

Gesù è catturato, martoriato, crocifisso: è percosso il pastore e son disperse le pecorelle, sconsolate, affrante, avvilite: era inevitabile questo istante di disorientamento nei discepoli.

Ma poi essi riprendon lena, sentono che solo possono testimoniar ancora l’amore per il loro maestro continuando la predicazione di Lui, il suo apostolato; anzi in questa santa fatica può solo trovar conforto il loro strazio profondo. E così la parola di Cristo, proprio per la sua morte, ha raggiunto ogni angolo della terra, ha echeggiato anche nelle più remote contrade!

Agli apostoli fu tolta la personale presenza di Cristo, non fu tolto il suo spirito e quello li guidò durante le loro apostoliche fatiche e, da loro, passò nei loro discepoli, aleggiò e aleggia consolatore, maestro ove anche un solo giusto alberga.

Morendo Gesù, non lasciò orfani i suoi, rimase con loro in modo ineffabile, ma reale.

E come il Maestro, anche i suoi santi, quando ci abbandonano materialmente, lascian qualcosa di essi, il meglio di essi fra noi.

Ma è solo la santità che concede di beneficar tanto le anime anche traverso lo spazio, anche dopo la morte!

Quelli che sono educatori, che han dato tutto se stessi a un ideale di bene per la generazione che sorge, se vogliono eternare, direi, l’opera loro, e vivere anche dopo la morte e far del ancora dalla misteriosa dimora eterna non hanno che una via, è sicura, ma unica: si facciano santi!

Ascoltiamo le voci solenni che ci giungono da vicino, da lontano, dalla terra, dal cielo, per stimolarci alla virtù: facciamoci buoni e avremo sempre un’influenza buona nel mondo degli spiriti.

Educazione ed Istruzione


DON BOSCO, MANZONI E ROSMINI

Il 16 settembre 1850 don Bosco avviavasi per la seconda volta a Stresa. Ve lo traeva, non tanto la conoscenza fatta con l’abate Rosmini, quanto il desiderio di conoscere meglio il regolamento e il metodo disciplinare di quella casa che era la casa madre dell’Istituto di carità, fiso ornai com’era di dar egli principio ad una Società ecclesiastica.

Giunto a Santhià verso mezzanotte, confessava il conducente della diligenza; quindi, toccato Vercelli e Novara, scendeva ad Arona. Aveva fatto disegno di recarsi a Stresa sul battello, ma all’ufficio della diligenza trovò il marchese Arconati suo amico e benefattore, il quale gli propose di lasciare la via per acqua e di salire sulla propria carrozza, e nello stesso tempo di fare una visita ad Alessandro Manzoni. Don Bosco accettò il cordiale invito; ed attaccati i cavalli in brev’ora giunsero a Lesa, ove il Manzoni si trovava in villeggiatura. Accolti con ogni cortesia, fecero il dejeuné col grande romanziere, il quale tra l’altro non mancò di mostrare al servo di Dio i suoi manoscritti infarciti di correzioni. Don Bosco non ebbe altro contatto col celebre scrittore fuori di questo, ma gli bastò perchè si persuadesse sempre più esser la semplicità nello scrivere frutto di lunghi studi.

A Stresa venne accolto con mille feste dal Rosmini e dai suoi religiosi, e vi dimorò alcuni giorni, avendo lunghi trattenimenti coll’abate, il quale nei disegni della Divina Provvidenza doveva essere uno dei suoi primi benefattori.

Verso la fine del 1850 si recò a Milano. Il Sommo Pontefice Pio IX aveva pubblicato uno straordinario giubileo per riparare i danni cagionati dagli odii, dalle guerre e dalle ribellioni, e D. Serafino Allievi, direttore dell’Oratorio di S. Luigi a Milano, aveva invitato don Bosco a predicarlo ai suoi giovani. L’invito era stato fatto d’accordo coll’arcivescovo mons. Romilli; ed anche il prevosto di S. Simpliciano, chiesa parrocchiale dell’Oratorio di S. Luigi, non solo aveva approvato quella deliberazione, ma con vive istanze da parte sua ne aveva rinnovato l’invito a don Bosco sperando di servirsi del suo ministero a bene della popolazione.

Il servo di Dio partì dunque da Torino il 28 novembre alle 2 pomeridiane e con viaggio non interrotto, passando per Novara e Magenta, giungeva a Milano all’indomani, alle 11 antimeridiane, dopo di aver molto sofferto pel moto della vettura.

I tempi correvano difficilissimi. Milano, dopo le famose giornate, sembrava sedesse sopra un vulcano ancora acceso. I liberali e le sètte avevan sempre rivolti i loro disegni alla Lombardia, aspettando e cercando l’occasione di scacciarne i tedeschi; i quali per altro spiavano i disegni dei congiurati; e di quando in quando gli arresti e le gravissime condanne per delitto