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244 IL BUON CUORE


Varie Case editrici faranno omaggio al Congresso di opuscoli e di carte geologiche.

Le gite dei congressisti, salvo eventuali variazioni al programma prestabilito, saranno così effettuate: io settembre a Lecco — 11 in Valsassina — 12 in Val d’Esino 13 a Lecco — 14 al Monte Barro — 15 gita sul Lario — 16 a Milano: riunione al Civico Museo di Storia Naturale e ricevimento al Castello Sforzesco.



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GLI ASILI D’INFANZIA

nell'opera cristiana

La istituzione dell’Asilo d’infanzia si deve alla pietà cristiana. Un prete — Ferrante Aporti — apriva in Cremona, il 15 novembre 1827, il primo asilo con intenti pedagogici, formandone una creazione nuova, atta, non solo a raccogliere, nutrire e proteggere i figliuoli del popolo, ma ancora a educarli.

A raccogliere e ad alimentare i poveri fanciulli, fin dai tempi più remoti, aveva anche provveduto la pietà cristiana. Si sa, infatti, che Fabiola — la santa protagonista d’un romanzo celebre — fu la munificente dama di carità dell’infanzia sorridente e serena. L’arciprete Dateo, a Milano, nel ’787, fondava una casa di educazione per fanciulli, detta poi Ospizio di S. Salvatore, dove essi avevano, non solo alimenti e vestiti, ma trovavano bensì di che nutrire l’anima e la mente, avviandosi alla vita. Il Muratori, che ci ricorda il benefico apostolo, dice che volle essere sepolto nella chiesa del suo Ospizio, e il suo epitaffio fu questo:

Sancte memento Deus quod condidit iste Dathaeus

Hanc aulam miseris auxilio pueris.

S. Gerolamo Miani, S. Giuseppe Calasanzio, il pio Giovanni Borghi, conosciuto sotto l’affettuoso nome di Tata Giovanni, il sacerdote Lorenza Garaventa, il parroco Pietro Zezi ed altri molti — tutti preti e cristiani di operosa fede — istituirono asili a soccorso dell’infanzia povera e abbandonata.

Il buon esempio si diffuse altrove, in Francia, nella Svizzera, nell’Inghilterra, in Danimarca; ma esso partì dall’Italia, promosso e fruttificato dalla iniziativa cristiana.

L’abate Aporti, come già osservò il Lambruschini, fece dell’asilo una cosa nuova, associandolo all’ammaestramento primario, con criteri didattici ch’egli lumeggiò in un libro anche oggi assai pregiato.

Raccogliere a fidata custodia i bimbi dei poverelli, che difettano delle cure dei genitori, associar loro eziandio quei fanciulli nati in condizione più lieta (bellissima scuola di uguaglianza), con gli uni e con gli altri largheggiare nella stessa misura di tutte le affettuose e diligenti cure ondé l’infanzia ha bisogno, tener buon
governo dei loro corpicini, sicchè crescano sani e gagliardi e si abituino di buon ora alla nettezza, la quale giova non meno alla salute che alla moralità, condurli al concetto e alla pratica dell’ordine e della disciplina, mercè la uniformità degli abiti, delle occupazioni e dei trastulli, mercè la regolare alternativa dei monti e dei riposi, svolgerne gli intelletti ed i cuori cel canto di semplici poesie, col’racconto delle notizie più volgari salienti nel mondo esteriore, soprattutto procacciare che si addomestichino coi sentimenti virtuosi e li convertano in abiti: ecco in compendio l’intento, lo spirito le norme della istituzione aportiana.

Si apri una nobile gara nel sostenere e diffondere queste prime scuole. A Milano, per opera del parroco Zezi, sorse un Comitato promotore. Furono istituiti asili per le fanciulle povere, con donazioni cospicue: ricordiamo quella del sacerdote Pietro Baroli. Anche, presso gli opifici, la istituzione dell’abate Aporti trovò lieta accoglienza, come ricorda il Celesia nella Storia della Pedagogia.

Il Sacchi, il Romagnosi, ed altri valenti uomini fecero del loro meglio per fecondare la buona idea. Giuseppe Saleri, a Brescia, se ne rese benemerito.

Anche in Roma, nei primi anni del pontificato di Pio IX, furono diffuse nei centri più popolati della città, queste scuole dell’infanzia, e così in Piemonte per opera della piissima marchesa di Barolo, alla quale si associarono Carlo Boncompagni, il Valerio, il Cadorna, il senatore Pinelli, la contessa Eufrasia Valperga di Masino, costituendo una società protettrice.

Nella Toscana volgarizzata la buona idea dai sapienti scritti di Raffaelllo Lambruschini e di Gino Capponi — due anime profondamente cristiane — fu seguito l’esempio insubre: il conte Guicciardini, Matilde Calandrini, Enrico Mayer, il conte Torrigiani ed altri benefattori lo resero luminosamente fecondo. A Napoli, più tardi, la fede di Alfonso Casanova e di P. Ludovico da Casoria valse a ridestare opere benefiche siffatte.

Ma non possiamo ricordare tanti nomi che si associano ad iniziative generose, a sacrifici magnanimi per la vita e per la educazione dei fanciulli, specialmente per quelli lasciati in abbandono, quasi in balia di sè stessi.

Scriveva, nel luglio del 1837, Giuseppe Sacchi all’abate Aporti: «Allorchè, dieci anni or sono, voi pensavate tutto solo in Italia a fondare quella mirabile istituzione degli asili infantili che vi ha fatto proclamare a buon diritto come il nostro Calasanzio, non avreste certamente presagito come in breve tempo essa avrebbe sviluppato in questo nostro paese tanta effusione di carità da dover sembrare rara in un tempo tutto d’industria e di agiatezze. Ma voi snudaste pel primo fra noi quella gran piaga morale dell’abbandono dell’infanzia del povero; triste abbandono che prepara a tre anni quei piccioli vizi che in età adulta trascinano alle carceri e al patibolo. Voi la curaste pel primo questa piaga infestissima, porgendo a quella età di impressioni quel felice avviamento delle corporee e delle morali abitudini ordinate alla effettiva potenza e alla sapienza, da darci a sei anni un ragazzo robusto,