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250 IL BUON CUORE


scolture che nascondono un senso mistico e i misteri della grand’opera. Bene, io avevo fatto anche di meglio per la Cappella del Re Luigi. Mai il mio estro si era sollevato con volo più ardito e grande; mai le concezioni della mia mente non ebbero a sognare maggior armonia e grazia. All’interno dei tesori di cesello, una freccia così leggera che nessuno saprebbe comprendere come resista alle violenze della tempesta; mille figure d’angeli e di demonii; infiniti particolari di formare un tutto largo e completo. Poi, sempre all’interno, due cappelle sovrastanti; delle volte d’una arditezza sorprendente, che non riposino se non sopra deboli colonne, senza altro sostegno. Oh! quale sarà la mia gioia! mi dicevo io, quando migliaia di scultori e di manovali sottomessi ad un cenno della mia mano, schiavi del minimo mio sguardo, cominceranno a realizzare il mio nobile e sublime pensiero; quando si scaveranno le fondamenta, quando i muri si eleveranno; quando si costruirà l’armatura in legno del castagneto scelto da me! Giacchè io voglio che questa sia l’opera più perfetta e più compita che siasi mai fatta. Non dipenderò da nessuno per la scelta dei materiali; da nessuno per sorvegliare i lavori.

Sarà fatto tutto da me; una madre ha meno tenerezza pel suo bimbo di quella che ho io per la mia chiesa.... Poi verrà la ricompensa di tante cure e di tante fatiche: l’inaugurazione del sacro tempio, la folla che si pigia e piange d’ammirazione e di gioia; il suono dell’organo; i profumi dell’incenso; il sole che lancia i suoi raggi attraverso le vetrate policrome; Re Luigi inginocchiato avanti all’altare che io ho costruito....

Parigi, la Francia, l’universo ripeteranno con trasporto il mio nome; la mia sarà una gloria eterna contro cui nè la morte nè i secoli non potranno nulla!...

Ecco, padre mio, ciò che io sognavo nella mia folle confidenza, nel mio insensato orgoglio.

A venticinque leghe da Parigi, quasi al termine del mio cammino io incontrai un vecchio.... Egli viaggiava come me; come me si recava dal Re S. Luigi per presentargli dei progetti per la Santa Cappella. Io ridevo della sua fiducia; perchè, mi dicevo io, chi può rivaleggiare con me? Finalmente per curiosità e piuttosto all’intento di compiacerlo, io acconsentii a vedere i suoi progetti che una fatale bonarietà spingevalo a mostrarmi. Oh! padre mio, io ero vinto. Quell’uomo avea più genio di me; la mia gloria sfuggivami; bisognava tornare al mio paese.... Coperto di onta, disonorato, io non ero più il primo architetto del mondo. Ero vinto. Non chiedetemi che cosa avvenne in me da allora, quali pensieri mi bruciavano, qual febbre mi divorava! Tutto quello che so, è che la notte, in un bosco io vidi un vecchio inginocchiato davanti a me che mi chiedeva grazia; che mi sentii le mani imbrattate di sangue; che gli alberi della foresta si imporporarono alla luce che mandava nel bruciare un cumulo di fogli di pergamena.... Dopo d’allora io non ho più nè tregua nè riposo. Volevo andare al palazzo di Re Luigi, ma uno spirito invisibile me ne allontanò. Non mi restò che un rifugio: bere; bere fino alla ubbriachezza; fino all’abbruttimento, fino alla morte del pensiero.

Il Domenicano si alzò. Non era più un cristiano che consolava, era un giudice.

— Ascoltate, — ascoltate ciò che Dio, il Dio che punisce e perdona, vi comanda per bocca mia. In penitenza rinunciate al mondo ed ai vostri sogni insensati di gloria; quind’innanzi non essere altro più che un povero monaco, senz’altro nome quaggiù che quello di frate Antonio.

— Obbedirò.

— Indossate il cilicio ed il saio; non coricatevi che sulla nuda terra, poi fate uso della disciplina; non mangiate che pane nero cosparso di cenere.

— Obbedirò.

— Condannatevi al più assoluto silenzio e le vostre labbra non si schiudano che per pregare. Se vi si insulta, mettetevi in ginnochio; se vi percuotono, baciate la mano che si alzò sopra di voi; se qualcuno riconosce in voi quegli che fu un celebre artista, rispondete: Io non sono altro che frate Antonio.

— Obbedirò.

— E perchè l’espiazione sia completa, abbandonate al fuoco il disegno che vi ha fatto commettere un delitto e gettatene le ceneri al vento; periscano come quelli della vittima.

Ma a queste parole del sacerdote, il colpevole si era alzato.

— Mai, mai. — gridò egli — Piuttosto la dannazione eterna. Distruggere il più nobile, il più grande dei miei concetti! lasciar dire che un altro edificherà la santa Cappella, che nulla resterà dell’opera mia; no. Accetto la penitenza; pregherò, piangerò, mi lacererò le carni a colpi di disciplina; non dirò a nessuno il mio nome, il glorioso mio nome, a nessuno, neppure a me. Ma voi non esigete ch’io bruci il mio disegno; voi non esigerete che io lasci edificare ad un altro la Santa Cappella. Piuttosto l’inferno, piuttosto un nuovo delitto.

La sua voce umile e tremante risuonava rumorosa sotto le volte della chiesa deserta; camminava precipitoso, batteva con violenza l’una mano contro l’altra; un sudor ghiacciato colava dalla sua fronte.

Il Domenicano ne ebbe pietà, e piuttosto che perdere quest’anima energica, piuttosto che respingere la pecorella venuta alla porta dell’ovile, preferì cedere su questo punto della penitenza.

— Ebbene, ascoltate. Che Dio mi perdoni la mia arrendevolezza e non mi punisca di una indulgenza forse colpevole. Voi farete ricapitare il disegno a Re Luigi da una mano sconosciuta: il vostro progetto verrà eseguito, ma la gloria non vi apparterrà punto.

— Oh! grazie, padre mio, grazie. Che mi importa della gloria purchè il mio disegno non vada al fuoco nè perisca, ma venga eseguito? D’altronde, nessuno si ingannerà. Chi altro fuor di me potrebbe creare simile maraviglia? Chiunque dirà: Lui solo poteva esserne l’autore. Grazie, padre mio, grazie.

Il Domenicano sorrise melanconicamente di questa mescolanza singolare di pentimento e di attacco alle vanità del mondo; egli aveva una fede troppo illuminata ed una pietà troppo caritatevole per non essere indulgente.