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il buon cuore | 341 |
Mentre precipitavano al fondo l’acre echeggiava di grida di gemiti, d’imprecazioni.
Allora San Pietro volse un grido di preghiera a sua madre amnicnendola a mostrarsi pietosa, ma essa non gli diede ascolto e seguitò come aveva cominciato. Via via che il peso alleggeriva, il volo dell’angelo diveniva più lento, sempre più lento; San Pietro ne rimase così angosciato che le forze gli vennero meno e cadde in ginocchio.
Solo una dannata era rimasta avvinghiata a sua madre: una giovine donna che si teneva stretta al collo della vecchia e la pregava, la supplicava di lasciarla andare in Paradiso.
L’angelo frattanto sì era innalzato a tal punto che San Pietro tese le braccia disponendosi a ricevere sua madre. Gli parve che sarebbero bastati due colpi d’ala perchè il divino messaggero fosse alla vetta del monte.
Ma improvvisamente l’angelo sospese il volo e il suo vise divenne cupo come la notte.
Stese le mani al dorso, la vecchia aveva afferrato alle braccia la dannata che pendeva dal suo collo, e tiratala violentemente, sciolta la stretta delle mani che si tenevano fortemente aggrappate, riuscì a liberarsi della sciagurata.
Allorchè questa cadde l’angelo calò per un buon tratto, parve che non potesse più spiccare il volo. Volse sulla vecchia uno sguardo profondamente mesto, allentò il braccio con cui la sosteneva, e la lasciò cadere quasi chè, rimasta sola, essa fosse per lui un peso soverchio. Poscia con un colpo d’ala sparve sulla vetta del monte.
San Pietro rimase a lungo a terra singhiozzando e il Signore accanto a lui in silenzio.
Finalmente questi gli disse: «Non avrei mai creduto che tu dovessi piangere tanto in Paradiso».
Il vecchio servo di Dio sollevò il capo e rispose: «Che paradiso è mai questo ove odo le grida di dolore dei miei cari e donde scorgo i patimenti del mio prossimo?» Il volto del Signore si oscurò per intima pena: «Che altro volevo se non preparare a tutti voi un Paradiso di gioia pura e luminosa? Non capisci che scesi appunto fra gli uomini e insegnai loro ad amare il loro prossimo come sè stessi? Finchè non giungeranno a farlo non troveranno rifugio nè in cielo nè in terra poichè dolore e turbamento li perseguiteranno dovunque.
Samarita.
PENSIERI
Il meglio esiste, V’è dovunque alle mani tue, chiunque tu sia, fa meglio... e venga poi la gloria o non venga, venga la riconoscenza o la sconoscenza degli uomini, che importa tanto poi?
La miglior maniera di viver bene e felici è l’esser buoni.
El quadrett della Madonnina
Oh Madonnina mia!
Dolcissima Maria!
Quand’entri in la mia stanza insci isolada
Me pias de tratt in tratt datt on’oggiada.
Te see pur anca bella
«Regina maris, Stella!».
The g’hee quel bel faccin grazios, grazios
Che l’è el ritratt del to corin pietôs.
Mi, stracch d’ona giornada
Squas semper disturbada
De contrast, seccadur e dispiesè
Me domandi a mi stess: perchè... perchè?
De stoo soffri, de stoo lottà?
Chi po spiegall?... Nissun le sa.
L’è mei che quand me capita sti câs
Faga de tutt per sopportai in pâs.
E sta filosofia
Oh Madonnina mia
Te see ti che in del cœur me la inspirada
Ti, che tee tant soffert... tant rassegnada!
Oh Madonnina mia!
Dolcissima Maria!
Se vœuj dormì de nott, ma propri quiett
L’è quand ghe doo on’oggiada al to quadrett.
Federico Bussi.
Canti d’alberi e canti di stelle
Non appena il sole è sceso dietro le ultime cime di monti ad occidente, e per il cielo si sono sparsi quei colori che, all’aurora, da oriente trionfavano, comincia il canto notturno degli alberi. Dapprima il canto è composto solo di trilli, di gorgheggi, di garriti, di pispiglii, di squittinî di uccelli che riparano sotto le volte frondose, profumato asilo contro i rigori notturni. E allora pare che tutta un’ora sonora avvolga la selva dai mille alberi fronzuti che nella tenue luce crepuscolare si rileva come una gigantesca fascia verde cupo: allora pare che le foglie siano materiale di canti, e che ogni foglia ripeta il suo mille, mille e mille volte, accordando con gli altri infiniti canti delle infinite sorelle, formando un coro eguale, altisonante, magnifico. Ma poi, man mano che dal basso il tenebrone notturno comincia a render tutto uniforme e su dalla vallata sale un umido alitar di nebbia, i canti degli uccelli si fanno meno pieni, meno festosi. Quelli che son colti per primi dal gelo della notte si scuotono per tutto il corpo, arruffano le penne e poi, cacciata la testina sotto un’ala, si addormentano; ma quelli che albergano su per le cime della selva e che ancora ricevono dal raggio crepuscolare la dolce illusione del sole continuano le