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il buon cuore 355
dite. La memoria dolce della loro chiesuola, delle gioie godute in un tempo, sono le sole che richiamino, che risveglino gli affetti del loro cuore verso una terra, che pur occupa tanta parte dell’animo loro.

Cosicchè chiunque abbia seriamente studiato lo stato dei nostri Italiani all’estero si formerà di leggeri l’opinione che per assicurare il benessere materiale e morale dei nostri emigranti è necessario essi sieno assistiti e godano delle loro antiche e buone istituzioni civili e religiose, le sole che sono atte a formare la mente ed il cuore e che solo possono avvantaggiare il loro progresso.

Questa verità apparve così lampante nel Congresso Internazionale dell’Emigrazione, che si tenne in S. Luigi, nello Stato del Missuri, durante la famosa Esposizione fatta in commemorazione dell’acquisto della Luisiana ottenuto da Napoleone I, che molti oratori e rappresentanti di stati europei e nelle loro qualità ufficiali non ebbero timore di asserire pubblicamente che per assicurare l’esito ed il felice successo di una colonia era necessaria la presenza del sacerdote. «Finalmente una delle condizioni che possono guarentire il buon successo colla colonia si è l’avere un buon sacerdote per guida della medesima, disse il Commendatore Branchi, allora Console generale per l’Italia e Commissario alla medesima Esposizione. Può sembrar strano a qualcuno che io da questo luogo e nella mia qualità ufficiale inculchi questa condizione come necessaria al buon esito dell’impresa: ma io parlo non spinto da altro motivo che dalla brama di vedere che le colonie siano un successo, e l’esperienza m’ha dimostrato che non lo sarà senza che i nostri coloni abbiano l’assistenza di un buon sacerdote». Ed il nostro ambasciatore italiano, che tanto interesse si prese per il benessere dei coloni italiani e per vedere se si fossero potute stabilire colonie dei medesimi, intraprese espressamente un viaggio d’ispezione in specie negli Stati meridionali della Confederazione americana, Egli, il barone Mayor des Planches, dopo aver bene ispezionato e studiata la questione sul terreno, uscì in queste parole: «Io non credo di potere coscienziosamente raccomandare al patrio Governo quelle colonie, dove non vedo la Scuola e la Chiesa».

Ammesso dunque che il bene materiale e morale dei nostri emigranti in generale richieda che essi siano avviati alla campagna, dirò che è di qua, cioè, dall’Italia che bisogna avviarveli. Non aspettare o pretendere che essi, giunti nel nuovo continente, vogliano o possano indirizzarsi al campo di per se stessi. Se veramente s’intende di cooperare alla loro salute, bisogna incominciare il lavoro prima che essi lascino il loro tetto; di qua istruirli esattamente del luogo dove dovranno recarsi e delle occupazioni alle quali convien loro dedicarsi.

Il loro destino deve essere determinato qui, in patria. Se avviene che essi partano prima di avere esattamente stabilita l’occupazione a cui devono dedicarsi il luogo dove debbono andare, è folle il pensare che poi si decidano e lo facciano da sè una volta arrivati sul nuovo continente. Giacché appena colà sbarcati cadranno nelle unghie di arpie, che sotto il mellifluo
nome di paesani, conoscenti, o agenti di lavoro, con false promesse li sedurranno; ed una volta che quei meschini abbiano incominciato ad assuefarsi agli artificiosi e seducenti piaceri della città, sarà ben difficile il poterli persuadere che facciano ritorno all’aratro. Essi, generalmente parlando, sono completamente rovinati, e se anche verranno portati a qualche lavoro campestre, vengono vincolati puramente per personale vantaggio del paesano, il quale per molto tempo li sfrutterà.

Perocchè bisogna ben ricordarsi che l’essere invitati a portarsi in quelle contrade da amici o da congiunti non è sicura garanzia per l’emigrante. Purtroppo sono frequenti i casi nei quali i nuovi arrivati rimangono sacrificati dalla sordida sete di guadagno dei cosidetti paesani amici o congiunti, i quali anche le tante volte mandano materiale soccorso agli invitati per le necessarie spese del viaggio per farli cadere più facilmente nell’agguato loro teso. Quante volte ho dovuto essere spettatore allo sbarco di questa povera gente, anelante di migliorare la loro fortuna al primo mettere il piede in terra se possibile: eppure quanto era facile il prevedere che una gran parte di essi era di già caduta nelle mani dei cosidetti amici che li avevano invitati che ora sorridevano perchè vedevano riuscita la trama da loro ordita contro i loro cari. Se adunque gli emigranti siano ben istruiti del dove devono portarsi sopratutto se ben fortificati a riguardarsi dalle arpie che piomberanno loro addosso al primo sbarcare che faranno nel nuovo contenente, si può sperare di aver dato principio alla futura prosperità materiale e morale dell’emigrato.

E l’opera riuscirà tanto più facile inquantochè di là dall’Oceano si è già stabilita da qualche tempo una Società detta Catholic Colonization Society U. S. A. (1), che verrà in nostro soccorso. Questa Società è composta di uomini di ben conosciuta probità ed integrità, che hanno una consumata esperienza nella scienza e nel lavoro di colonizzazione, e si prefigge di concentrare gli emigranti, che arrivano agli Stati Uniti, in certi territori adatti sotto ogni rispetto alla colonizzazione; dove, divisi in nazionalità, potranno essere meglio provvisti di Scuola e Chiesa e conservare insieme colla religione le patrie tradizioni, realizzando così il gran concetto del compianto Monsignor Scalabrini. Questo in parte era già stato fatto dalle Società belghe, olandesi e tedesche con ottimo risultato, come lo si può vedere nelle loro fiorenti colonie. Noi Italiani, con tutto l’aiuto, l’impeto e lo sforzo che ci aveva dato
  1. L’esistenza della Società Cattolica di Colonizzazione negli Stati Uniti d’America si deve tutta allo zelo infaticabile del Rev.mo P. Devos, che insieme ad alcuni sacerdoti suoi amici la stabilì un anno fa in Chicago. Quest’anno la medesima Società fu solennemente approvata dagli Arcivescovi riuniti in Washington e nei primi di maggio fu convocato espressamente un Congresso, dove moltissimi furono i prelati che intervennero, la Società fu riorganizzata sotto la presidenza dell’Arcivescovo Glennon, che ne rimane il Direttore Generale, e dalla sua nota attività è facile presagire il rapido progresso della medesima.