Pagina:Il buon cuore - Anno XI, n. 05 - 3 febbraio 1912.pdf/2

Da Wikisource.
34 IL BUON CUORE


no delle scene dolorosamente tragiche. Mentre la mercanzia umana è così allineata sulla piazza del mercato, lei vede in un certo punto un ondeggiar di gente, un trambusto insolito, ode delle grida rauche, minacciose. Non ha tempo di domandarsi che cosa è mai, che un uomo o una donna, lacero, affaticato, affannato, con su tutta la persona adusta la traccia del lungo cammino fatto si scaglia, si avventa contro uno della fila lo abbraccia, lo bacia, lo stringe ripetutamente al seno, carezzandolo e chiamandolo con i più dolci nomi. Forse è il padre, la madre, il fratello; certo uno della famiglia. Tutta la fila non si scompone: è abituata a questa scena che così spesso e sempre così dolorosamente si ripete. I mercanti arabi accorrono, afferrano il nuovo arrivato, gli domandano che cos’ha. — Rendetemi mio figlio, mio fratello! — esso grida — Voi me l’avete rubato! Rendetemelo! — Uno non pratico aspetterebbe chissà quali proteste, chissà quali minacce da parte degli arabi: invece essi freddi senza scomporsi, con una sola parola, agghiacciano ogni grido di ribellione nella gola del disperato parente.

— Noi l’abbiamo comperato!

E’ inutile ogni recriminazione: essi l’hanno comperato: essi perciò hanno l’appoggio dell’autorità: e l’autorità difende le proprietà altrui. Allora non resta al mal capitato che contrattare il proprio sangue: dare buoi, vacche, pecore se li ha, in cambio del figlio o del fratello che vuole riscattare. Se però costui nulla possiede e se il capo di mercanzia promette una buona vendita allora è inutile scongiurare: gli arabi non cedono: al poveretto non resta che dare allo schiavo il bacio dell’addio e lasciarlo proseguire per il suo destino.


Episodî pietosi.

— E mi dica, padre, questa tratta di schiavi come viene esercitata?

— Ci sono diversi sistemi che ora le descriverò. Il più comune è questo. I capi delle carovane si fermano in una data regione per qualche tempo ed essi stessi formano le razzie: hanno a tal uopo assoldata ai loro ordini una carovana speciale di manigoldi pronti a tutto, che, per quei pochi denari e quella manciata di doura che hanno in cambio dei loro servizî, spargono lutto e desolazione dovunque. Questi carovanieri rubano appena gli si presenta il destro: per le vie, pei campi, lungo le rive dei fiumi: se incontrano resistenza, ricorrono alle armi con la massima indifferenza. Inoltre questi capi di carovane hanno degli agenti locali che sono dei mori stessi i quali esclusivamente rubano ragazzi e ragazze e li portano al mercante che dà in cambio di questo lavoro una molto tenue ricompensa. Queste nuove prede vengon rinchiuse nei fonduchi o magazzeni per cotoni, zuccheri, fucili ed altro, vengon divise in due recinti separati, uno pei maschi ed uno per le femmine e così attendono il giorno in cui la carovana si muoverà verso il deserto. Ma non solo alla forza ricorrono per fare nuovi acquisti: si giovano anche e molto dell’astuzia. So che mentre alcuni di questi mercanti stavan sulla piazza del mercato passò una ragazza alta e robusta che poteva essere
venduta per un buon prezzo. Un mercante allora le fece sdrucciolar nelle mani una moneta pregandola di andare nel fonduco a prendere certi oggetti che diceva di aver lasciati. La disgraziata andò senza accorgersi che un brutto ceffo la seguiva: entrò nel magazzino ma non ne riuscì più: era stata messa a far parte della carne umana che si doveva vendere. Un bambino moro che noi abbiamo ora a Bengasi nel nostro istituto antischiavista della missione dei Giuseppini faceva, senza volerlo, il mediatore di schiavi: egli veniva trattato molto bene dal padrone ed era stato istruito ad invitare i bambini che incontrava e seguirli presso il suo signore: naturalmente quei bimbi non rivedevano più le loro case.

Altro sistema d’incettazione di schiavi è basato sull’assalto a mano armata che i carovanieri danno ai villaggi designati. E’ questa una vera distruzione: quei pirati brucian le capanne, uccidono non solo chi oppone resistenza ma anche chi non è, per la età, adatto ai loro scopi e rubano a man salva quanto gli può riuscire utile. Così soltanto si spiega la sparizione repentina di alcuni villaggi, oggi fiorenti e popolosi, domani ridotti ad un cumulo di cenere fumante. Nella nostra missione dei Giuseppini a Bengasi noi abbiamo due ragazze e due ragazzi che furono così tolti ai loro parenti ed alle loro capanne sudicie, è vero, ma che essi rimpiangono sempre e sempre ricercano con una vana nostalgia nel cuore.

Il più grande razziere di tutta la regione è il Sultano del Wadai, di religione mussulmana. Esso fa addirittura delle spedizioni militari per avere gli schiavi e, una volta ottenutili, prima sceglie i migliori per sè e poi vende gli altri ai carovanieri. Se questa razzia militare si svolge nell’interno del sultanato non c’è mai spargimento di sangue, poichè i negri non vedono in questo che la materializzazione del dominio che il Sultano esercita su di loro: essi piegano il capo taciturni e seguono i loro rapitori, senza neppur lontanamente pensare alla ribellione: se poi la razzia si svolge fuori del sultanato allora lo spargimento di sangue è inevitabile. I negri che sanno di non aver nulla a che fare col sultano che li vuol rapire, si ribellano: ma i soldati sono armati di tutto punto e non ascoltano ragioni: fanno fuoco e ottengono così con le cattive quello che non si vuol loro cedere con le buone. La maggior parte degli schiavi sono presi così. Vengono anche costoro messi nei recinti e quivi attendono la partenza della carovana. Il viaggio pel deserto è una via Crucis per questi poveri esseri: nessuno di loro, anche se preso piccolino, ha dimenticato gli spasimi della sete e le scudisciate di quegli aguzzini. I più piccoli, quelli cioè che proprio non sono in grado di camminare, vengono rinchiusi a due o a tre insieme in alcuni sacchi e disposti sui cammelli oppure vengono affidati alle cure delle donne. Essi procedono per il deserto in lunga fila silenziosa e triste, a passo lentissimo, bagnando la strada di sudore e di sangue. Vanno sempre legati gli uni agli altri e solo dopo nove o dieci giorni di cammino, quando cioè sono tanto lontani dalle terre abitate da dover lasciare ogni speran-