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62 IL BUON CUORE


Nota gentile e pietosa di queste feste fu una messa di suffraggio per il compianto Don Lino Re, che fu il primo missionario bonomelliano residente in Lione e che da molte delle presenti era ancora ricordato con reverente riconoscenza.

L’Associazione cattolica italiana offriva a tutti i loro connazionali una allegra ricreazione di chiusura, esilarando l’uditorio. Le attrici e le persone dirigenti le due farse recitate furono specialmente benemerite; la presidente, signorina Gerino Flavia, così instancabile e disinteressata per il trionfo di quest’opera buona, la vice presidente Sammori Secondina e la tesoriera Pierina Ferrero in modo particolare, colle loro cure e l’abile direzione, coadiuvarono fortemente al buon esito della recita.

Durante questa graziosa serata, la Presidente, con nobili ed elevate parole ricordò i fratelli combattenti laggiù sulle insidiose terre africane, proponendo che ciascuna secondo le proprie forze, desse l’obolo suo per le famiglie dei caduti. La colletta fra quelle operaie, rese lire 45, somma rilevante se si considera le condizioni delle oblatrici.

Il rev. D. Stefano Ravera, attuale missionario bonomelliano del segretariato di Lione, la cui vita è tutta spesa nel bene degli emigranti, traendo argomento dal soggetto della recita, ebbe parole di elevati consigli per le operaie ed un caldo ringraziamento per l’operoso e generoso parroco locale, per il predicatore degli esercizi e per tutte le autorità locali per il valido e costante appoggio che danno alla classe operaia italiana.

Indimenticabile sarà certamente in tutti i presenti il ricordo di quelle ore di fraternità e di spirituale comunanza di idee.

N. N.

Religione


Vangelo della prima domenica di Quaresima


Testo del Vangelo.

Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal Diavolo. E avendo digiunato quaranta giorni e quaranta notti, finalmente gli venne fame. E accostatosegli il tentatore, disse: Se tu sei Figliuolo di Dio, di’ che queste pietre diventino pani. Ma egli rispondendo, disse: Sta scritto: non di solo pane vive l’uomo, ma di qualunque parola che esca dalla bocea di Dio. Allora il Diavolo lo menò nella città santa, e poselo sulla sommità del tempio, e gli disse: Se tu sei figliuolo di Dio, gettati giù: imperocchè sta scritto: Che ha commesso ai suoi angeli la cura di te, ed essi ti porteranno sulle mani affinchè non inciampi talvolta col tuo piede nella pietra. Gesù gli disse: Sta anche scritto: non tenterai il Signore tuo Dio. Di nuovo il Diavolo lo menò sopra un monte molto elevato; e fecegli vedere tutti i regni del mondo, e la loro magnificenza, e gli disse: Tutto questo io ti darò, se prostrato
mi adorerai. Allora Gesù gli disse: Vattene, Satana, imperocchè sta scritto: Adora il Signore Dio tuo, e servi Lui solo. Allora il Diavolo lo lasciò, ed ecco che gli si accostarono gli angeli, e lo servirono.

S. MATTEO, cap. 4.


Pensieri.

Una osservazione subito. Gesù doveva proporsi un grande, ben grande insegnamento nel sottostare alle tentazioni, se niente — e subito lo si capisce — può essere più ripugnante all’infinita santità di Dio e del Figlio suo divino quanto questo di doversi mettere a contatto del suo nemico.

Gesù non ha riputato sconveniente alla propria dignità provare dolore, povertà, ignominie: questo anzi gli faceva piacere, poichè col suo contatto le santificava, le divinizzava, le rendeva amabili ed accettevoli agli uomini, ma Gesù mai avrebbe voluto contatto con quel peccato, che del dolore, della miseria, dell’ignominia era stata causa prima e principale. Aveva ben Egli assunta la natura umana con tutte le infermità e debolezze congenite, ma pur nell’Incarnazione aveva preso carne santa da una Vergine santa e immacolata nello suo stesso concepimento. Mai e poi mai sarebbero venute ad incontrarsi il vizio e la virtù Belial e Cristo, la santità ed il peccato.

E Gesù che — colla sua venuta — non diede una ristorazione estrinseca, rinnovò intrinsecamente di un rinnovamento reale, vero quanto non solo Egli direttamente assunse, ma dà lui irradiò per ogni dove la santità su quanto vedeva e toccava nell’aria che respirava, sul sole che illuminava, sulla terra che calpestava, su tutto quel creato in mezzo al quale era disceso ad abitare e del quale — per l’Incarnazione — Egli stesso era nobilissima parte.

Perchè volle in questo caso tollerare il contatto di se stesso con triplice momento di una tentazione, della parola del suo nemico?

Lo volle — non a togliere o diminuire la nostra ripugnanza alle suggestioni cattive — lo volle perchè quel momento la tentazione cambiasse natura e fisonomia: perchè la tentazione avesse a perdere della sua potenza, perchè di generatrice di colpa s’avesse a mutare in generatrice di merito, perchè da ultimo da una forza dominatrice dell’umana volontà avesse a mutarsi in vinta e dominata!

La grande ragione che sospese in Cristo per un’istante la ripugnanza alla colpa... per dire e schiudere agli uomini un campo di vittoria là dove fin a quel momento l’uomo non aveva conosciuto che le più dolorose sconfitte ed umiliazioni.

La storia conferma quanto sopra: nei popoli pagani — corruzione e putridume — la tentazione, l’appetito malsano era la regola della vita, la norma delle azioni: nel popolo di Dio s’era ben tosto dimenticato il precetto di Dio «il tuo appetito è inferiore, tu lo dovrai dominare!» Tutti si sono trovati deboli, disarmati contro la tentazione: cedevano, cadevano vinti e dominati. Venne Cristo: si sottopose alla tentazione: alla grande,